
Stando sulla montagna, tratta da Canti del mandriano abruzzese, pubblicati da Francesco Bruni, 1855
- di Silvia Scorrano
Stando sulla montagna.
Quale in quest'aere balsamo
Di nuova vita io sento! Come ne l'alma s'amplia
La idea dei firmamento,
Cui non scerni confine
Da queste vette alpine
Altro che il nudo ciel! -
Io ti saluto, o ultima
Cima del monte mio,
Fra i cento, onde la Italia
Arricchir piacque a Dio,
A me egualmente sacro
Pel dolce simulacro
Del tuo mistico vel
Il vel de'gieli candidi,
E quel, che a lui succede
D'erbe e di fior', che ondeggiano
Da le tue spalle al piede,
Insegnano al mio core
Che, al tempo del dolore,
Chi crede dee sperar.
O mia montagna! Il turbine
Spesso t'oltraggia e il nembo;
Ma tu, salda, de' nugoli
Posi col capo in grembo,
E, del folgore al lampo,
Come il suggetto campo,
Non usi già tremar.
In suo proposto impavido
Tale sta fermo il saggio.
Sei bella, se t'inaura
Il giovetto raggio:
Bella, quando in cilestro
Tingi il tuo manto alpestro,
O appari in fra i vapor'.
E ov'è chi visto ascondere
Abbia a te dietro il sole,
Ed a narrarlo, povere
Non dica sue parole?
Su l'appula pianura
Piomba la notte oscura,
In te vien col chiaror
O Regina de' martiri,
E d'ogni cor dolente
Consolatrice, adempimi
Tu questa prece ardente:
Del lungo vagar stanco
Fa che io riposi il fianco
presso al mio monte un dì.
Assiso al rezzo, pascere
Miri su lui le agnelle,
E in cento fochi splendere,
Siccome il ciel di stelle,
Sue falde, al suon di piva,
Ne la stagione estiva
Tosto che il sol sparì.
Dolce al mio cor memoria,
Fia la vita, consunta
Fra tante acri misere,
Quando, a quel termin giunta
Che dessi entrar nel porto
De gli esseri, il conforto
Di star tra' miei godrò.
E, se scontrarsi al raggio,
Che il mio monte abbandona,
Potran quest'occhi languidi,
Mentre a me fan corona
I capi più diletti,
Oh! ne'più santi affetti
Immerso io morirò.
Stando sulla montagna rientra nei Canti del mandriano Abruzzese che Francesco Bruni, riscrivendoli in lingua italiana, dedica a Niccola Nicolini certo che quest'ultimo proverà compassione per il povero pastore obbligato ad errare con le mandrie per otto mesi l'anno. Il tono di denuncia è ben espresso dalle parole che seguono:
Ad ogni modo, ecco, o mio egregio signor Commendatore, come ho saputo fare, e come ho fatto, non per accattarne gloria od onore a me, che troppo mi conosco manchevole d'ogni merito, ma per divulgare i sentimenti d'un infelice, il quale a tutto il mondo li farebbe palesi, se conoscesse altro che il suo vernacolo, acciocchè, almeno i più cordiali ed assennati, avessero compassione di lui e de' suoi consorti, e dessero opera coll'ingegno a chiarire le cagioni ed a persuadere il rimedio della misera loro condizione. E per fermo: la pastorizia errante è una delle piaghe più verminose e altrettanto nocive che vergognose pe' popoli civili.
Foto: Nicola Cosanni e Tito Iafolla