Le donne di Scanno. Tratto da Agostinone E., Altipiani d'Abruzzo

di Acque Sacre

E tutta la bellezza del paese è nelle vie che vi adducono, nella conca morbida che lo circonda, nel degradare delle case, nel mistero delle piccole strade nere e degli archetti di riparo e degli anditi bui.
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E tutta la grazia, che ci trasporta lontano nel paese della leggenda e del sogno, è nel costume delle piccole donne dal viso bruno e dagli occhi dolci. Un costume che tutte indossano religiosamente, che dona al corpo una solennità matronale ed alla testa un portamento altero da regina. Quello dei giorni di lavoro è più severo, quasi ieratico; l’abito della festa è più giocondo.

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E' tutto di lana filata tessuta e tinta in ogni casa, secondo il buon costume abruzzese che minaccia scomparire in troppi luoghi. La gonna, tutta di minutissime pieghe, arrotonda il corpo oltre misura; il corpetto, terminato intorno al collo da una bianca trina di tombolo, chiusa sul petto dalla doppia fila di bottoncini d'argento e completato dalle ampie maniche fisse, si armonizza con l'enorme gonna e col grembiule che la copre quasi tutta in giro; il cappellitto, una specie di turbante di stoffa più scura temperata da un po' di bianco che vi traspare a lato, posa trionfalmente sul capo e si raccorda - secondo la teoria istintiva del cappello perfetto - al viluppo dei capelli con trecce finte di lana multicolore commiste alle vere.
Nella scelta di questa lana o di questa seta in filo, del damasco vivacissimo per il grembiule e il cappellitto della festa, degli ori vistosi, e della buona foglia d'ornello che darà tinta immutabile al magnifico verde di tutto il costume, si racchiude buona parte dell'ambizione e del gusto della popolana scannese.
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Povere donne! Quanto lavorano senza turbare la solennità di quel loro costume che sembra creato apposta per la passeggiata, per la preghiera, per il corteo nuziale, per il rito eterno dell'ozio giocondo! ... Salgono al bosco con le gonne azzaccarate (ovvero tenute su da un legame) e ne scendono con la testa o con le spalle cariche come bestie, fanno da portatrici d'acqua e da manovali, senza smettere per un'ora sola la veste ardita, senza perdere mai le movenze armoniose... Di dove saran mai venute con la tribù che giurò fede eterna al proprio costume? Forse d'Albania?
Quando, entrando in una chiesa, non trovate traccia di sedie, e vedete lo spettacolo di tutta una folla scura, in uniforme, accosciata sul pavimento al perfetta guisa orientale - voi non potete trattener dall'immaginare una piccola tribù randagia, venuta di lontano, tra ferro e fuoco, a chiudersi in questo nido romito che cela ancora (ad onta della luce elettrica, della doppia strada, dello sventramento, degli alberghi e della fognatura) tutto il mistero del vecchio Abruzzo...

 

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Tratto da Agostinone Emidio, Altipiani d'Abruzzo, Bergamo 1912
Nato a Montesilvano il 13 maggio 1879 , maestro di scuola elementare, fu giornalista e deputato per il collegio di Teramo (1919) e dell'Aquila (1921).
Nel 1911, collaborò alla fondazione del periodico milanese "La cultura popolare", organo della Unione italiana dell'educazione popolare, di cui fu condirettore, e collaborò a "La difesa delle lavoratrici", uscito a Milano nel 1912, e a "La Critica sociale".
Si occupò dei problemi della scuola, dell'istruzione e dell'emancipazione delle classi lavoratrici. 
Pubblicazioni: 
Dalla terra d'Abruzzo. Otto lettere al giornale “Lombardia” di Milano, Milano, R.Sandron, 1905; riedito da  Associazione culturale Amici del Libro Abruzzese, Montesilvano, 2000
(con la collaborazione di  Enrico Giuriati), Storia della legislazione scolastica sub-elementare, elementare e normale, Treviso, Zoppelli, 1907
L'agonia di Messina. Cento illustrazioni da fotografie di Emidio Agostinoni, Giacomo Brogi e Mario Corsi, Roma, L'Italia industriale artistica, 1908
Il Fucino, Bergamo, Istituto italiano d'arti grafiche, 1908
Altipiani d'Abruzzo, Bergamo: Istituto italiano d'arti grafiche, 1912
Foto: Gloria Marlowe e  Memories:officina dei ricordi e delle immagini

 

Viaggio a Farinola, (Farindola) tratto da I Viaggi Adriatici di Serafino Razzi

di Acque Sacre

VIAGGIO A FARINOLA
Alli 15 di luglio 1575 andai con un compagno a piedi a um Terretta cinque miglia lontana da Penna, detta Farinola, posta alle radici di altissime montagne, in un alto colle, sotto di cui corre gelidissimo fiume Tavo, poco lontano dalle proprie fonti. Si cantò da i Rev. preti la solenne messa di San Quirico e di Santa Giulietta sua madre, la cui festa celebrano in tal dì questi popoli. Dopo la qual messa cantata io dissi la nostra bassa, e quella finita per esser l’hora tarda, si andò a desinare.
Et alquanto dopo pranzo, essendosi ripiena di popolo la chiesa, predicando fondai la sacra compagnia del santissimo Nome di Dio, essendoci molti anni prima stata posta la compagnia del santissimo Rosario. Finita la predica tornai a riposarmi in casa deI Rev. prete, Don Baldassarre. Et ecco che qui comparve un giovane mugnaio, il quale sopra di una bene accordata arpa cantò a ciascheduno di noi che presenti eravamo, all’improvviso molto attamente. E così nostro signore Iddio pone le sue grazie, e comparte i suoi doni, bene spesso ancora in persone semplici, et idiote.
Farinola, Terra di circa 220 fuochi, vogliono che deve dirsi Ferinola, dalle fiere che abondano attorno di lei nelle vicine selve, come porci cignali, capri, lupi, et orsi: e perché anche le persone in lei habitanti, per la vicinanza di somiglianti bestie, tengono elleno ancora del fermo, et alpestre. Tiene questa Terra per insegna un core di orso.
Dicesi che in lei sono tre scuole: nella prima s’impara di fare alla lotta. Nella seconda di sonare il corno. E nella terza s’impara il modo di afrontare l’orso. Quando vogliono ragunare il loro consiglio, suonano un corno, ma prima serrano le porte del castello, che altramente tutti i porci che sono fuori a i pascoli, ritornerebbeno dentro. Gli essercizii loro, oltre alla coltivazione delle proprie terre, e campi, sono di lavorare madie, et arche et altre si fatte cose, havendo dalle vicine selve copia di faggi, e di altre sorte legnami, come aceri, e simili.
Diedi loro l’arra per un arcone di 30 some di grano, e d’una minor arca di 12 some per la farina, in servizio del nostro convento di Penna, e con patto di pagare un carlino per soma.
E la sera stessa ce ne ritornammo per lo fresco a casa, riportandone una tortorella donataci, dimestica, ma sola, e piangente la morta sua compagna.

Razzi S., La vita in Abruzzo nel Cinquecento, Diario di un viaggio in Abruzzo negli anni 1544-1577, Cerchio, Adelmo Polla Editore, ristampa 1990
Altri articoli su Farindola: La cascata della Vitella d'Oro, Farindola , Il culto delle acque: Grotta di Santa Lucia a Farindola


 

 

 

Il battesimo del pastore

di Domenico Ciampoli

Suo avo, suo nonno, suo padre, tutta la sua stirpe erano stati pastori; ed egli non volle rinunciare a quella santa eredità. Un giorno fu battezzato pastore.
Oh, voi non sapete come si battezza pastore? Si vede proprio che i nostri monti non gli avete visti neppure sulla carta geografica... Matteo dunque, alla domenica, venne fuori sulla spianata del villaggio vestito dal soldato. Gli amici che lo aspettavano gli furono attorno; erano quasi tutti pastori; e fatto cerchio, il più vecchio gli domandò solennemente: 
— Vuoi bene alla montagna e alla pianura?
E Matteo: — Sì.
— Hai paura della neve, della pioggia, dei lupi?
—No.
—Hai cuore di lasciare la montagna per scendere alle pianure?
—Con le greggi, sì.
—Dividerai il tuo pane e la tenda col viaggiatore smarrito e col poverello?
—Sì.
—Sarai sempre onesto?
—Sì.
—Vuoi far parte della nostra famiglia?
—Sì.
—Ora giura sull'innocenza dell'agnello che hi detto la verità.
L'agnello venne fuori saltellante, e Matte, ginocchioni, disse ponendogli la mano sul capo:
— Giuro.
Allora tutti i compagni se gli strinsero più intorno; egli si tolse il vestito e rimase in camicia e mutande: il più vecchio gli consegnò un paio di brache  di pelo di capra, una casacca di pelle di pecora, ch'egli indossò; poi una mazza, una zampogna ed un cappello, e versandogli sul capo e sulle vesti molte gocce di latte, baciandolo sulla fronte gli disse:
—Dio ti benedica figliuolo: sei pastore!
A queste parole ad uno ad uno gli altri corsero ad abbracciarlo e baciarlo con grida di gioia: e Matteo si sentì correre le lagrime agli occhi. Ma la cerimonia non era finita. Sull'altro punto della spianata sedevano in cerchio le più belle donne del villaggio, e in mezzo a tutte era una vecchia. Matteo dette fiato alla zampogna e si avvicinò. Come fu loro accanto batté le mani, e la vecchia gli chiese:
— Chi sei?
—Sono un pastore.
—E che cerchi da noi?
—La pecorella
—E tu vorrai bene alla pecorella, se la trovi?
—Tanto tanto
—E fra boschi, le rupi e la pianura la terrai sempre con te?
—Sì.
—Allora, scegli la pecorella dalla gregge.
Matteo girò un poco; poi con la punta del bastone percosse leggermente la spalla alla Maria, che si fece rossa come lo scarlatto del corpetto; e tornò al suo posto. La vecchia baciò in fronte la fanciulla e disse:
— Dio ti benedica, figlia mia: il pastore ha trovata la pecorella.

Tratto da : Ciampoli D., Alla tagliuola, in Racconti abruzzesi, Milano, Brigola, 1880.

Su Domenico Ciampoli si veda Domenico Ciampoli, Tutte le novelle a cura di Antonella del CiottoCiucarella di Domenico CiampoliCicuta di Domenico CiampoliTrecce NereAncora sulle streghe di Domenico Ciampoli e Antonio De NinoLa Strega da Trecce nere di Domenico CiampoliLa casa bruciata tratto da Fiori di monteStoria d\'una croce da Fiori di monte di Domenico CiampoliFiori di monte, prefazione di Petitto Di LonganoLa Mietitrice di Domenico CiampoliSylvanus da Trecce Nere di Domenico Ciampoli

Foto: Gentile concessione archivio fotografico Facebook di Memories: officina dei ricordi e delle immagini

 

 

 

 

 

 

 

Monumento all'emigrante, Lama dei Peligni

di Silvia Scorrano

Lama dei Peligni con una lapide ricorda i suoi emigranti, hanno lasciato il cuore nel paese natìo, parole d'amore incise sulla pietra. Diverso è il tono del brano che segue, qui siamo nella Roma della seconda metà dell'Ottocento, a Piazza Montanara, dove si riunivano in cerca di lavoro, guardati con occhio di sdegno, e chiamati "col beffardo nome di burrini".

Piazza Montanara

Sul far della sera la Piazza Montanara di Roma presenta uno spettacolo animatissimo. È il luogo di ritrovo di quei poveri proletari che spinti dalla fame lasciano le salubri montagne dell'Abruzzo per affrontare la mortifera coltivazione delle Paludi Pontine, ricchezze dei principi romani. 
Quivi essi si raccolgono in cerca di lavoro, e quivi vengono i mercanti di campagna (1) ad appigionare le loro braccia. Non tutti quei poverelli ritornano alla famiglia, e spesso è il prezzo di una vita corrosa dalle febbri maligna, che i compaesani recano sospirando ai loro figliuoli.
I romani hanno dimenticato che i gloriosi loro padri alternavano le fatiche dei campi coi supremi poteri della dittatura, e maneggiavano l'aratro con quella stessa mano, che vittoriosa brandiva la spada nel folto delle battaglie. Essi disprezzano oggi profondamente coloro che lavorano la terra.
Non v'è un romano, per meschino e pezzente egli sia, che non guardi con occhio sdegno questi poveri agricoltori. In Roma, li chiamano comunemente col beffardo nome di burrini, e qualunque cittadino si terrebbe offeso di questo appellativo, come della massima fra le ingiurie.
burrini di Roma mangiano pan nero e bevono acqua; dormono nell'estate sui gradini delle chiese, nell'inverno dentro le stalle, col nudo terreno per letto e una corda tesa per origliere. Questi martiri del lavoro, spregiati da tutti, scherniti da una plebe superba, possono considerarsi come veri paria in quell'unica città di Europa, che conserva nel suo seno tante gradazioni sociali, da non trovare riscontro se non nelle caste dell'India. 
Questi esseri avviliti in mezzo alla potente metropoli del cristianesimo, contano quanto la polvere della strada, sono atomi che passano e nulla più.
Eppure v'è un'occulta sterminata potenza, alla quale, nella sua avidità di potere e di lucro, non sfuggono nemmeno quei grani di polvere, nemmeno quegli atomi ignoranti. 

 (1) Fittaiuoli o agenti dei principi romani

Tratto da Italo Fiorentino, Gli ultimi giorni di Roma Papale. Romanzo Contemporaneo, cap. I, pp. 2-3. Il romanzo è stato pubblicato in La via di Roma, Strenna popolare per l'anno 1868, Venezia, Tipografia del Tempo, 1867. 

Una citazione ai bruchi e la terra di san Domenico, Antonio De Nino

di Silvia Scorrano

Stimato da Luigi Pirandello e da Gabriele D'Annunzio il De Nino guardò con occhio benevolo, ma non per questo privo di malizia, gli usi del popolo abruzzese.
Abbiamo già trattato San Domenico, ne Il culto delle acque sacre: la grotta di San Domenico a Villalago, e Le Fanoglie di Villalago, in questa sede, in compagnia del "Peligno di grande stirpe, Poeta delle memorie tenace" così come venne definito da D'Annunzio, ci lasciamo deliziare da alcuni sistemi per la lotta contro i bruchi....  

LXXIX
Una citazione ai bruchi e la terra di san Domenico

Nell’anno del Signore 1786, il territorio di Pacentro fu infestato dai bruchi. I Pacentrani allora supplicarono la Corte Baronale, affinché si mettesse di mezzo per impedire la rovina dei campi; e la supplica comincia col ricordare che Dio disse all’uomo: Dominamini piscibus maris et volatilibus coeli. Séguita poi a dire che gli animali bruti che si fanno vincere dall’istinto, a scapito degli animali ragionevoli, possono esser richiamati a dovere o con mezzi soprannaturali o con mezzi naturali. Non essendo stati sufficienti i mezzi soprannaturali, cioè le penitenze pubbliche e gli esorcismi, come dice la supplica, si ricorse ai mezzi naturali, e si fece istanza alla Baronal Corte onde si compiacesse «ordinare alle Locuste ed ai Bruchi, che sotto perentoriale ristretto termine senza ulteriormente devastare li prodotti e producendi frutti sgombrassero dal medesimo tenimento e andassero indove non potessero recar pregiudizio all’umana società» La supplica conchiudeva così: « Ed in caso di trasgressione, o di ritardata obedienza, fan’ istanza condannarsi alla morte (locuste e bruchi!).»
La Corte Baronale esaudì la supplica, e il Governatore Luigi Vadini comandò ai nocivi insetti che si rimettessero la via fra le gambe e andassero almeno dove non erano conosciuti: — «Caveant (dice l’ordinanza del Vadini) de’ contrario sub paena indignationis, et disgratiae Divinae Majestatis.» — Quindi il Mastrodatti Giuseppe Trippitella dichiara: «Pacentro li 12 Giugno 1786.... Crescenzo Gentile publico Balivo di questa Corte con giuramento ave riferito di essersi oggi giorno suddetto conferito personalmente colli Sindaci e testimoni, ec. di questa Terra, ed ivi ave notificato la retroscritta istanza, ec. ed ave fatto ordine preciso comandamento alli Grilli, e Bruche che sotto pena, ec. si fussero partiti, ec. ec. e andarsene in altri luoghi, ec. ec. ec.» — E tutto questo da un autentico documento che è presso di me.
Ma lasciamo il settecento che usava le lucerne a olio, e veniamo al secolo dei lumi a petrolio o gas o ad elettrico: oggi, in molti paesi degli Abruzzi, quando le condizioni atmosferiche favoriscono lo sviluppo dei bruchi, si chiama subito e con insistenza un prete, acciocchè secondo il rituale, proceda allo scongiuro delle imprudenti bestioline. E oggi ancora in diversi paesi, per esempio in Anversa, si crede poco allo scongiuro; ma si crede molto e si ricorre quasi sempre a San Domenico di Cocullo. Nella chiesa del Santo si raccoglie l’immondezza del pavimento o la scrostatura del calcinaccio o che so altro, che chiamano la terra di san Domenico; si reca poi al proprio paese e si sparge per la campagna (1). I bruchi poco dopo scompariscono. E sì che scompariscono, perché se n’escono dal fodero e battono le ali. Ma i bachi da seta non fanno lo stesso, senza la scopatura della Chiesa di san Domenico?

Note:
(1) In Bugnara e Vittorito, la terra di san Domenico si sparge per allontanare i serpi.


Fonte: Antonio De Nino, Usi Abruzzesi, Firenze, Tipografia di G. Barbera, 1879, pp.175-177.

 Sempre dal volume Usi Abruzzesi:

La Domenica delle Palme di Antonio De Nino
Gli usi popolari, alcune considerazioni di Antonio De Nino
Aspettando Sant'Agata

 

 

 

Attenzione, siamo in aprile! le Streghe vengono concepite

di Silvia Scorrano

Cosa c'entra il borgo di Navelli? Ma, potrebbe essere stato scelto dalle streghe per accoppiarsi. La strega nasce? si chiederà qualcuno. Possibile che le streghe possano nascere ed avere un ciclo di vita come tutti gli essere viventi? Le streghe che noi conosciamo non sono quelle vecchie cattive che mangiano i bambini, offrono mele avvelenate a ignare fanciulle?... Ma oltre alle streghe internazionali  - quella della Bella Addormentata o di Hansel e Gretel, tanto per intenderci -  esistono anche le streghe locali? Ebbene si, vengo a scoprire che in Abruzzo nascono, o meglio mi voglio augurare, nascevano le streghe. In aprile avveniva il connubio, perchè Mamma strega deve partorire la Notte di Natale! e dove pensate che vada a sgravarsi? in città? No, Mamma strega va nei piccoli centri, nei borghi abbandonati! Attenzione, guardiamoci attorno quando andiamo a visitare qualche antico borgo.... Ma ancora più attente devono stare tutte quelle fanciulle nate tra il 24 e il 25 dicembre ....e gli stregoni?... ma non voglio dirvi più nulla vi lascio in compagnia di Antonio De Nino più bravo di me nel raccontar storie

LIX La Strega nasce¤ 

 

Quando apparve la religione nuova del Cristo, la religione vecchia degl’idoli se ne fuggì dalle grandi città e stanziò nelle città piccole. Cacciata anche da queste, si rifugiò nei paesi, nei pagi, e da essi ebbe il nome di paganesimo. Anche oggi così, ai pregiudizi: esempio le streghe. Nelle città grandi, e nelle piccole dove l’aria circola, le streghe non nascono più. Mamma strega oggi va a sgravarsi nei paesi appartati e negli abituri campestri. Il connubio ebbe luogo e seguita ad aver luogo in aprile:

Aprile
Tutto gentile
Che fiori ed alberi
Fa rifiorire.
Che vecchie e giovani fa rallegrare 
Ed invita qualche asino a cantare.

 In aprile il connubio, perchè (maggio, giugno, luglio, agosto, settembre, ottobre, novembre e dicembre, nove mesi) mamma strega deve partorire la notte di Natale (1). Dunque le femmine, nate tra il 24 e il 25 dicembre, sono streghe. Credo che anche allora gli uomini nascano stregoni. Ma a liberare uno stregone dal suo malanno si fa presto. Si corre a una vigna; si taglia un tralcio di vite; si mette a bruciare una estremità, e poi, ardente com’ è, si passa sul braccio destro dello stregone, disegnandosi una croce che frigge.... zihhhhhh! e subito la stregoneria scomparisce.
Non usciamo dalla notte di Natale. Tutto solo io vado alla santa messa; ma sono il primo io a riuscire. Alla porta della chiesa vedo un mietitore con la falce a una mano e nell’ altra un mazzo di spighe. Io piano piano vado a dirgli all’ orecchio: 
— Eh, per la mietitura c’ è tempo.... — Ed esso :
— Zitto ! che voglio conoscere le streghe del mio paese. Usciranno tutti dalla chiesa; ma finchè starò io qui, le streghe non potranno uscire.... — 
Povere beghine! tutte streghe!
In altri luoghi, ad Ajelli, per esempio, si crede che le streghe non vadano mai in chiesa la notte di Natale; e, se ce ne va qualcheduna, all’elevazione dell’ ostia se ne riesce. Ma chi dovesse riuscire per una necessità qualunque?

 Fonte: Antonio De Nino, Usi Abruzzesi, vol III, Firenze, Tipografia di G. Barbera, 1879, pp.131-133.

Note:

¤Uso di paesi non pochi: Anversa, Castro Valva, Cocullo, Colle Armele, Fara San Martino, Pentima, Prezza, Villalago...
(1)Talvolta si fa partorire nel giorno della Conversione di san Paolo.

 Attenzione di streghe in Abruzzo ne abbiamo proprio tante, ogni villaggio aveva la sua, in grado di fare fatture "che a laversala dal sangue non valeva nè il latte di formica, nè l'acqua santa" , giusto per citare Domenico Ciampoli che sulle streghe ne ha raccontate tante... per acchiappare la strega ..."bisognava fare le sette nottate, vale a dire vegliare sette notti per coglierla alla fine ....  Bisognava prima di tutto confessarsi e comunicarsi, poi bagnare la punta del bastone nell’acqua benedetta dove non avesse posto il dito alcuna donna. Non rivelare il segreto ad anima nata e tanto meno alla moglie; non rientrare mai in casa durante la veglia; aspettarla pazientemente ogni notte, ed anche vedendola non toccarla che alla settima; se no, ella gli sguscierebbe di mano come un’ombra e tornerebbe più terribile..." a questo punto non vogliamo raccontarvi altro, vi diamo la possibilità di scaricare l'intero racconto. La Strega

 

Sempre da Usi Abruzzesi: 

La Domenica delle Palme di Antonio De Nino

Gli usi popolari, alcune considerazioni di Antonio De Nino

Aspettando Sant'Agata

Articoli su Domenico Ciampoli:

Fiori di monte, prefazione di Petitto Di Longano
La casa bruciata tratto da Fiori di monte
Storia d'una croce da Fiori di monte di Domenico Ciampoli 
Fiori di monte
La notte di San Giovanni in La Mietitrice di Domenico Ciampoli
La Mietitrice di Domenico Ciampoli 
Sylvanus da Trecce Nere di Domenico Ciampoli 
La produzione letteraria di Domenico Ciampoli

 

 

 

Le acque salutari del Fucino

di Sissi Ardesia

Ormai la Strada Letteraria delle Acque Sacre inizia a prendere forma, ci troviamo sempre su I Sentieri delle Acque Sacre d'Abruzzo, ma è un sentiero diverso costruito dalle pagine dei libri. Percorrendo, o forse meglio sfogliando, volumi su volumi, mi sono imbattuta in Giuseppe Antonio Guattani, un professore di Storia, Mitologia e Costumi, autore de I Monumenti Sabini, pubblicati nel primo trentennio dell'Ottocento. Interessante la distinzione tra acqua salutare e acqua salubre, «L’acqua salubre serve per bere, la salutare ci medica (1) », capisco che sono sul sentiero giusto, infatti nel terzo tomo, giunta alla descrizione del lago del Fucino, trovo un importante annotazione: 

Ma non solo l’acqua del Fucino e bella, chiara e trasparente; si vuole ancora che abbia il pregio di esser salubre di molto, anzi salutare e medicinale. Narra il Febonio ch’ella giova a guarire la scabie ed altri mali che provengono da infiammazione del fegato, ragion per cui gli antichi opinarono che nel lago dimorasse un Nume o un genio benefico; seppure non gli offrirono incensi e voti perché ne temessero ancora le sue acque inondatrici. 
Est enim lotione salubris: curat enim scabiem, aliosque morbos et eos qui ex hepatis inflammatione proveniunt… Veteres inesse Numen credebant, unde C. Gavius ei votum solvit, de quo lapis in praedio Piscinae. Phaeb. Hist. Mars. lib II cap.6.

Note:
(1)G.A. Guattani, Monumenti Sabini, Roma, 1827, tomo I, p. 264.
(2)G.A. Guattani, Monumenti Sabini, Roma, 1830, tomo III, p. 28.

Foto: Lac Fucino et les montagnes des Abruzzes di Jean - Joseph - Xavier Bidauld, 1789, Metropolitan Museum of Art https://it.wikipedia.org/wiki/File:Jean-Joseph-Xavier_Bidauld_-_Lac_Fucino_et_les_montagnes_des_Abruzzes.jpg

 

 

Rimanendo sulla Strada Letteraria vi suggerisco: 

L'acqua archibugiata di Avezzano da C.U. DE SALIS MARSCHLINS

La notte di San Giovanni in La Mietitrice di Domenico Ciampoli

San Giovanni all'Orfento raccontato da Paolo Sanelli. Tratto da "I miei sogni sono stati tutti sulla Maiella" D'Abruzzo Edizioni Menabò.

 

L'acqua archibugiata di Avezzano da C.U. DE SALIS MARSCHLINS

di Sissi Ardesia

Passeggiando come spesso faccio per le vie dei libri mi imbatto sempre in qualche curiosità. Per non rischiare di perdermi, questa volta sono rimasta su i Sentieri delle Acque Sacre d'Abruzzo e ho cercato la parola acqua. Insieme a De Salis Marschlins ho solcato il Lago di Celano di cui parlerò in un'altra occasione, in questa voglio soffermarmi sulla cosiddetta acqua archibugia; già il nome attrae la mia attenzione, emozionatissima spero di aver trovato una fonte sacra,... speranza svanita, ma l'incontro con l'acqua archibugiata è stato interessante:

Si deve alle erbe aromatiche di queste sconosciute contrade d’Italia, la preparazione della così detta acqua archibugiata di Avezzano, tanto famosa per guarire le ferite. La nobile signora che mi ospitava, aveva l’arte di prepararla alla perfezione; e me ne diede una certa quantità per curarmi alcune ferite insignificanti che mi s’erano prodotte, facendomi prima lavare le parti, e poi legandovi delle compresse ben imbevute della miracolosa acqua. 
Queste erbe medicinali famose, vengono raccolte sul Velino, e ancora più sulla vetta più alta della Majella; ma però tutta la giogaia di quella zona è rinomata per la produzione di ogni sorta di erbe medicinali, in modo che alla data stagione, è frequentatissima da speziali ed erborizzatori di ogni paese e di ogni regione. 
Anche nei tempi più remoti dell’antichità, la giogaia dei monti Marsiani godeva fama speciale per la produzione delle sue erbe medicinali; ed io ritengo, insieme ai comentatori dell’Ostìensis, che la leggenda della Dea Angitia, alla quale si vuole fosse consacrato un tempio in un boschetto nei pressi di Luco, per aver insegnata l’arte di curare le malattie con l’applicazione di certe date erbe, debba essere derivata dall’abbondanza sempre esistita in questi luoghi, di erbe medicinali. E si spiega anche così la nomèa di stregoni che avevano presso i Marsi, gli empirici ed i preti, i quali, in ispecial modo e per i loro fini ascosi, usavano di questa cura primitiva per guarire miracolosamente le morsicature di bestie velenose. Strano però come il sumenzionato comentatore, chiami estinta ogni traccia di questa scienza da queste parti, mentre è comunissima e nota da tempi remoti l’acqua archibugiata che qui si prepara. Convengo con lui peraltro che non si trova più chi crede ad occhi chiusi nelle miracolose guarigioni delle morsicature velenose.

 C.U. DE SALIS MARSCHLINS, Viaggio attraverso l’Abruzzo nel 1789, traduzione dall'inglese a cura di Ida Capriati, Cerchio  Adelmo Polla Editore, 1995, pp.38-39.

Foto: Antonio Corrado

Monumento ai Minatori, Palombaro

di Acque Sacre

Mio padre ci ha raccontato dei cunicoli alti appena cinquanta centimetri, dove bisogna lavorare sdraiati, centinaia e centinaia di metri sottoterra. Quel poco d'aria che scende dall'alto, si impasta con la polvere di carbone e prima o poi inizi a respirare a fatica. Mio padre, da alcuni mesi, non dormiva quasi più per la tosse. Era costretto a riposare su una sedia per poter riprendere fiato. Il medico l'aveva chiamata Silicosi e ci aveva detto che era dovuta al carbone. Ma mio padre aveva deciso di continuare a scendere giù nei cunicoli, pur sapendo che ci avrebbe trovato la morte su quel letto di carbone...  

 

 Tratto da L'Uomo-Carbone di Michele Di Mauro, Edizioni Sensoinverso, Ravenna, p.23

Per leggere la recensione del libro L'UOMO-CARBONE DI MICHELE DI MAURO

 

La razza che abita l'Abruzzo da Enrico Abbate, Guida dell'Abruzzo, 1903

di Silvia Scorrano

 E vigorosa è la razza che abita l’Abruzzo. Qui s’incontrano ancora i veri e genuini pastori degli antichi tempi. Da più che mille anni essi non hanno punto cambiato costumi e usanze, poiché anche il loro culto cristiano non è che paganesimo leggermente inverniciato. Son belli e forti, abbronzati e aitanti della persona, ma d’animo mite assai: passan l’estate sotto una leggera capanna di paglia col can da lupo per compagno ed amico, la litografia del santo patrono incollata ad una rupe per protettore, e per diletto l’istrumento di Pane, la stridula zampogna, appesa all’ingresso della capanna, mentre le donne nella valle attendono alla casa. D’inverno se l’orso e il lupo si mostran sulle pendici, cambiano il bastone con il lungo moschetto, o bene spesso emigrano a portare nella malsana campagna romana incolta o nell’immenso tavoliere di Puglia le loro greggi o a cercare guadagni in lavori agricoli.

 Sono le parole di Enrico Abbate, tratte da una delle prime Guide turistiche dedicate all'Abruzzo pubblica nel 1903. L'Abruzzo viene identificato con la regione montuosa, gli Abruzzesi con i montanari, una identità che a lungo rimarrà nell'immaginario collettivo ed alimentata anche dalla produzione letteraria le cui tipizzazioni meglio riuscite, come afferma Costantino Felice, diventano il pastore di dannunziana memoria e il cafone siloniano. Le Montagne sono  «i personaggi più prepotenti della vita abruzzese» dirà Silone quarant'anni dopo la pubblicazione della Guida. Volendo fare una lettura in chiave economica delle parole dell'Abbate emerge un sistema economico molto debole, ancorato fortemente al settore primario, peraltro in crisi.  Un Abruzzo subordinato agli interessi dell’economia montana o meglio, riprendendo le parole di Melchiorre Delfico (1788, citato in Clemente, 1981), della pastorizia «assoluta e privilegiata» così come la volle Alfonso d’Aragona in quanto «è l’uomo, il solo uomo, che può far de’ deserti giardini e de’ giardini deserti, e che, se non può cangiare i climi astronomici, può ben cangiarne gli effetti». Le conseguenze di una scelta politica quattrocentesca sembrano aver oscurato altri momenti della vita economica, politica e culturale della regione.

Bibliografia: 

E. Abbate, Guida dell'Abruzzo, Roma, CAI, 1903.
V. Clemente, Rinascenza teramana e riformismo napoletano, 1777-1798. L'attività di Melchiorre Delfico presso il Consiglio delle finanze, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1981.
C. Felice, Le trappole dell'identità, Roma, Donzelli Editore, 2010.
I. Silone, Introduzione alla guida TCI, Roma, 1948,TCI.

 Foto: gentile concessione archivio fotografico della pagina Facebook: Memories: officina dei ricordi e delle immagini

 

 

 

Il lavoro della donna nella montagna autunnale tratto dal racconto Trecce Nere di Domenico Ciampoli

di Acque Sacre

  La foresta colle brume d'autunno lasciava cadere insieme con le foglie vizze le ghiande mature: i venti di tramontana gemevano via per le vallonate, le forre, i burroni, a traverso i rami nudi e i tronchi muscosi delle querce, lungo le prunaie, raccogliendo in turbine terriccio e fronde per andarli a sbattere poi contro i nodosi pedali e le rupi scheggiate. Non v'era più ombra, quando il sole tra una nuvola e l'altra, spruzzava di raggi bianchi la montagna; tutta l'immensa verdura dell'estate, colle sue tenebre umide e gli scherzi di luce era già nella mota e infracidiva sotto le brinate. Gli alberi nudi parevano tremare pel freddo, e drizzavano al cielo i rami, come braccia abbronzate chiedenti soccorso: i rivoletti venivan giù fangosi e gonfi; le folate ululavano fischiando; a stuolo a stuolo, starnazzavano i corvi, si posavano sulle querce, gracchiavano, scovando vermi e lucertole, tra le foglie cadute, o restavano immoti sulla carcassa di qualche bestia da soma. In alto in alto si ammucchiavano nuvolaglie nere, erranti, come facessero una pesante ridda sulla cresta del monte; e di lassù scendevano i solchi delle alluvioni, quasi minacciassero i paeselli delle balze, avvolti nel fumo e nella nebbia. Si presentiva il verno rigido, nevoso; e quella foresta così desolata metteva addosso i brividi, faceva correre al pastrano peloso od al focolare scoppiettante.
  Eppure, in quel tempo, la foresta era più popolata che nel cuore dell'estate, quando vi sono i pastori, le greggi, i mastini, i villeggianti e gli uccelli; era popolata di pezzenti che spogliano il gran signore per cavarsi la fame o svecchiare i cenci. I pastori, le greggi e i mastini se n'erano partiti per le Puglie, alle praterie del Tavoliere; le contadine filavano raccolte nelle stalle o presso al camino; gli uccelli e i signori se n'erano andati in cerca di climi più miti; ma restevano i pezzenti, i porcari con le numerose mandre, i taglialegne con le boscagliole, e i carbonai co' magri ciucarelli; di tanto in tanto passava loro accanto qualche cane randagio, qualche lupo affamato, accolti a furia di sassi, o qualche ladro di bestie, ricevuto non meno benevolmente. Ad ora ad ora da sopra una rupe boscosa echeggiava il suono stridulo di un corno; ed a quel suono, che poteva ricordare le stupende cacce medioevali, accorrevano di tutta lena i maiali, sicuri di trovar ivi il mandriano ed un lauto pasto di ghiande; e spesso al loro grugnito si confondevano le canzoni delle boscaiole che andavano raccogliendo  i rami dei faggi, delle querce, degli olmi, gettati loro dai taglialegne, i quali bestemmiavano lavorando intirizziti su tronchi secolari. E que' rami, accolti in fasci pesanti, eran posti dai sorvegliatori del Comune sul capo alle boscaiole, che in lunga fila li portavano alle carbonaie, per sentieruzzi ora ardui e pietrosi, ora lisci e infangati. Ed era una pietà il vedere floride fanciulle, col capo rientrato nelle spalle vacillare sotto il peso, o spargere nell'un tempo gocce di sudore e di pianto; vecchiette nerborute farsi un gran coraggio e stentare il passo tra un nodo di tosse e una violenta folata; madri amorose reggere con una mano il carico sulla testa e con l'altra il povero bimbo cencioso al petto. Talvolta, ad uno svoltar di rupe, ad un ciglione di forrato il vento imperversava, come volesse rapire in turbine fastelli e donne;  allora la lotta era disperata: cogli abiti sconvolti, le mani aggranchite sul carico, vacillando, puntando i piedi sulla pietra viva, avanzavano d'un passo, di due, di tre, cieche di polvere, di nevischio o di paura, mentre ad una spanna più in là mugghiava l'abisso spalancato. Spesso disperando di vincere le ventate, buttando a terrai fasci, tirandoseli poscia di dietro, con una fune stentatamente. E quando arrivate alle carbonaie gettano col carico un'esclamazione di contentezza, si sentono sulla faccia dire che sono lente come la buona ventura, poltrone come scrofe. E' meglio questo, che la fame — escalmano; e via di nuovo per l'erta o la discesa ad indossar nuovi fasci; e pensano forse allo sposo, al marito, al fratello, al babbo che stentano a lor volta la vita, gli uni nelle fangaie delle paludi Pontine, gli altri ne' pozzi pestiferi da petrolio presso Tocco; quegli fra i ladronecci e le avventure di America, questi al servizio d'un padrone che lo staffilla; ed esse, povere abbandonate, lavorano sino allo spasimo per dieci soldi al giorno, nutrendosi di pan di crusca, quando l'hanno, e dividendo quel pane co' bimbi e i vecchi lasciati alle capanne.        

  

Tratto da Domenico Ciampoli, Trecce nere, Milano, Treves editori, 1882, pp. 27-30.

Per una breve biografia di Domenico Ciampoli

https://www.acquesacre.it/index.php/it/47-ultime-news/207-la-maggiorana-di-domenico-ciampoli

 

La Maggiorana

https://www.acquesacre.it/index.php/it/libri/racconti/192-la-maggiorana

 

Papa Celestino V e l'eremo di Sant'Onofrio al Morrone

di Silvia Scorrano

Restituitemi la mia natura selvaggia di Heinrich Federer

Il vecchio eremita Pietro va avanti e indietro, avanti e indietro dalla porta alla finestra, con la febbrile agilità di un tenace vegliardo di ottant'anni. Si trova nell'inaccessibile castello di Fumone e invoca la misericordia del Signore che lo faccia tornare sul Gran Sasso o sulla Maiella, nel suo eremo tra i boschi. Lo grida tra le lacrime, lo piange e infine torna a dire i suoi salmi: "Benedicite montes et colles Domino... Benedicite giacies et nives Domino!". - Ah se solo potesse declamare quei versi sotto le querce e i castagni del Monte Morrone, proprio sopra a Sulmona, di fronte alle pareti grigie e silenziose della Maiella e allo spettacolo delle cime imbiancate dalla neve pura di gennaio! Lontano da quei saloni di marmo e da quegli abiti di seta, dagli inchini cortesi e semplici dei servitori, da quell'opulenza romana che gravava sul cuore e sul respiro: verso la libertà del selvaggio Abruzzo!

Il vecchio non la smetteva di invocare e di questuare, e quando non ebbe più niente da dire la sua anima si straziò dalla nostalgia. E morì quell'uomo straordinario, con questo urlo santo anelante alla sua casa. 

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L'avventura d'un povero cristiano di Ignazio Silone

 

Dopo vari giorni di pioggia e vento nella piana di Sulmona, un mattino ci svegliammo con un cielo interamente limpido. Una tenera luce verde dorata bagna i campi gli alberi i paesetti pedemontani il grandioso scenario della Maiella  e dà una proporzione armoniosa a ogni minimo oggetto. Benché nato e cresciuto in una valle attigua, da cui la Maiella è invisibile, nessuna montagna mi tocca come questa. Elementi emotivi assai complessi si aggiungono all'ammirazione naturalistica. La Maiella è il Libano di noi abruzzesi. I suoi contrafforti le sue grotte i suoi valichi sono carichi di memorie. Negli stessi luoghi dove un tempo, come in una Tebaide, vissero innumerevoli eremiti, in epoca più recente sono stati nascosti centinaia e centinaia di fuorilegge, di prigionieri di guerra evasi, di partigiani, assistiti da gran parte della popolazione. .....

Oggi approfitteremo del bel tempo per salire all'eremo di Sant'Onofrio, in cui egli se ne stava rinchiuso quando la delegazione del conclave lo visitò per annunciargli la fatale nomina. Non è una gita, ma un pellegrinaggio all'antica irrorato da copioso sudore. La nuova strada, fiancheggiata da ginepri querce e faggi, è piacevole, ma non ci conduce lontano. Per proseguire siamo costretti ad affrontare un sentiero ripido e tortuoso, che in alcuni punti ci costringe a procedere carporni tra gli anfratti della roccia. La vista incantevole che si gode da lassù è un buon pretesto per sostare e riprendere fiato. Sotto di noi sul pendio del monte, vediamo i ruderi della casa di Ovidio; più in là sul primo lembo del piano, la vasta badia del Santo Spirito; e dall'altro lato  le superstiti installazioni dell'ex campo dei prigionieri di guerra.

    

 

 Per una prima breve presentazione di Celestino V e dell'Eremo di Sant'Onofrio al Morrone abbiamo pensato di far cosa gradita riportare alcune righe tratte rispettivamente da:

Heinrich Federer, Restituitemi la mia natura selvaggia, Ortona, D'Abruzzo Libri Edizioni Menabò, 2011 e Ignazio Silone, Le Avventure d'un povero Cristiano , 1968.

http://www.acquesacre.it/index.php/it/libri/recensioni/171-una-notte-in-abruzzo-e-altri-racconti

 

 

La Sartina di Maria Antonietta Bafile

di Acque Sacre

Corre l’anno 1937…tanti anni fa.

Maria Pia è una giovane sartina di sedici anni, orfana di padre, vive con la madre e i suoi due fratelli in una modestissima casa di due stanze  e fratelli. Il maggiore, Alfonsino, di diciotto anni, convive da due anni con  una pericolosa tubercolosi e per questo non riesce più a trovare lavoro. Guglielmino, di quattordici anni, lavora come muratore, quando capita. Mamma Donatella si arrangia come può, lavando i panni ai “signori”, ma i lavori delle donne e dei ragazzini sono malpagati e  riescono a malappena a  far fronte alle più elementari necessità della famiglia.

Maria Pia è una brava sartina, ma la sua macchina da cucire, lasciatale in eredità  dalla nonna prima di morire, è troppo vecchia e non funziona più…

Sono diversi giorni che un’idea le si affaccia nella mente…finché quel 30  giugno prende coraggio, va dalla sua vicina e si fa prestare una penna e un calamaio, e dalla signora Giacinta, la tabaccaia, un foglio e una busta…

“ Eccellenza,
io sono una Sulmontina di 16 anni, orfana di padre da tanti anni … Da allora io e la mia mamma siamo le sole in grado di lavorare, con il mio fratello minore Guglielmino di 14 anni che fa il manovale come muratore.  Alfonsino, il fratello maggiore di 18 anni da due anni non riesce a trovare lavoro a causa di una brutta tubercolosi … Si sa, i lavori delle donne e dei ragazzi sono sottopagati …
Io sono una giovane sartina e mi chiamo Maria Pia. Fino all'anno scorso lavoravo con la mia macchina da cucire lasciatami da mia nonna … ma essa era già vecchia e consumata e si è rotta più volte … e adesso non è più riparabile … La mia amica Concettina per un periodo mi ha prestato la sua, ma la macchina serve anche a lei, anche lei è orfana e di entrambi i genitori morti di tisi e deve mandare avanti la casa con gli anziani nonni ciechi e i suoi cinque fratellini …
Ora non so più risolvermi …
Per questo, oh Grande Duce, mi azzardo a fare appello alla Sua magnanimità, non disperando in una Sua benevola considerazione. Ho tanta fede in Sua Eccellenza e perciò ardisco a sperare di poter essere un numero di più alle Sue beneficate incontabili.
Con la più profonda gratitudine e devozione pregherò tanto per la Sua gloria e che Dio La preservi da ogni male.
Sua umilissima 
Maria Pia  “

… Ma dove spedire la lettera? 
Maria Pia corre trafelata dal parroco, Don Fernando …Don Fernando legge la lettera e guarda questa coraggiosa e giovane sartina. Conosce bene la sua famiglia: nonostante i gravi problemi, sono sempre presenti alla Messa Domenicale …

– Non ti preoccupare Maria Pia, penserò io a spedire la tua lettera al giusto indirizzo… Abbi fede e prega –

Maria Pia gli  bacia le mani e fiduciosa torna a casa.
Passano i giorni … passa un mese. 
E’ l’alba quando bussano alla porta … tutti si alzano … 
Davanti a loro il Podestà con due funzionari e un grande pacco …

– Questo da parte del nostro amato Padre della Patria, Sommo Benefattore, il Grande Duce Benito Mussolini – 


I funzionari con il Podestà entrano in casa e aprono il pacco … Merviglia! Una fiammante, nuovissima di fabbrica “SINGER”, accompagnata da un biglietto …

“ Cara Maria Pia, piccola grande figlia della Nostra Amata Italia, con l’augurio di prosperità e tanta fortuna.
Il Vostro Duce
Benito Mussolini “

Sapete i primi lavori che esegue con la nuova “SINGER” la piccola Maria Pia? Una sciarpa ricamata per il Duce e uno scialle ricamato per Donna Rachele … Sempre tramite Don Fernando, anche questi giungono a destinazione.

Quindici giorni dopo una macchina si ferma davanti alla povera casa e, con il Podestà e i suoi due funzionari, scende anche un signore molto distinto … E’ il primario di un illustre sanatorio privato del Nord, dove vanno a curarsi “ i signori”, “la gente che conta”.

– Per la magnanimità del Nostro Amato Duce, sono venuto a prendere suo fratello Alfonsino per curarlo nella mia clinica –

Mamma Donatella e Maria Pia si inginocchiano ai piedi dell’illustre medico …

– Non è me che dovete ringraziare, ma il nostro Padre della Patria, il nostro amato Duce … E adesso vostro fratello Alfonsino verrà con me –

La mamma e Maria Pia mettono le poche cose di Alfonsino in  una vecchia e piccola valigia di cartone, lo abbracciano e lo salutano finché la macchina non scompare. 

Pochi giorni dopo Don Fernando bussa alla loro porta …

– Sapete? E’ venuto a trovarmi Gilberto Capodicasa, il maestro di scuola di Guglielmino, e parlando del più e del meno abbiamo parlato anche di voi e della vostra storia. Il maestro Gilberto  mi ha detto che Guglielmino era un alunno molto intelligente e studioso  e gli dispiacque tanto quando si ritirò…Che dite se gli facciamo riprendere gli studi? Ho già parlato con il Vescovo ed è d’accordo…Lo facciamo entrare in Seminario così può riprendere a studiare –

… E così Guglielmino entra in Seminario.

La vita prende a scorrere nel modo giusto per Maria Pia e la sua mamma … Gli affari vanno bene … sempre più “signore” della buona società si rivolgono alla giovane sartina …

 ∗∗∗∗∗∗

 –… Ma i venti di guerra si diffusero nel mondo…e sconvolsero il corso della storia, con le conseguenze che tutti conosciamo: la sconfitta e la caduta del Fascismo … e quella del Duce … Mia cara comare BiancaLuna, io e te siamo silenziosi testimoni della storia della nostra amata Italia … –

– Eh compare Ulivo … quante ne abbiamo viste! Ma adesso non è pericoloso raccontare questa storia? Possiamo essere tacciati di “fascisti”… A me non possono fare nulla … ma a te possono anche tagliarti, toglierti di mezzo … sei un “testimone scomodo”…–

– Comare BiancaLuna … bisogna correre il rischio … I giovani devono conoscere anche questo aspetto del Fascismo e capire che ogni governo ha avuto e avrà sempre un lato negativo e un lato positivo …– 

– Hai ragione compare Ulivo … i governi sono fatti da uomini e “gli uomini sono esseri imperfetti” … cioè una medaglia con due facce: una buona e una cattiva … Ma a proposito, vogliamo raccontare come andò a finire la storia della sartina Maria Pia? –

– Non andò a finire, perché continua ancora…Vedi dove sono adesso? Prima ero nel piccolo orto di casa di Maria Pia…adesso sono nel grande giardino di “VILLA MARIA PIA”…EH sì, durante la guerra Maria Pia confezionava le divise militari, dopo la guerra riprese il suo antico mestiere, diventando una bravissima e famosissima sarta … Restaurò la vecchia e piccola casa … i suoi figli la ingrandirono … e adesso i suoi pronipoti ne hanno fatto una splendida villa … Anzi le sue nipoti e pronipoti hanno continuato l’opera  della loro nonna e trisavola Maria Pia. Adesso è una grande casa di moda “CASA DI MODA MARIA PIA”, in onore della loro coraggiosa e intraprendente bis-bisnonna –

– Invece Guglielmino e Alfonsino, i fratelli di Maria Pia? –

– Alfonsino guarì dalla sua brutta malattia. Andò a lavorare prima come commesso in un negozio di calzature e poi si mise in proprio. Aprì un negozio tutto suo … ma in seguito aprì anche un piccolo laboratorio di calzature… 

Eh, sì, compare Ulivo … i suoi figli, nipoti e pronipoti hanno continuato la sua opera e adesso il marchio “ALFONSINO” è l’orgoglio del nostro paese … i suoi negozi sono dappertutto, in tutto il mondo. In quanto a Guglielmino … 

– Guglielmino uscì dal Seminario e abbracciò la vita sacerdotale, prendendo successivamente il posto di Don Fernando quando questi volò in cielo. Aprì un laboratorio di arti e mestieri prima per gli orfani e poi per “i ragazzi di strada”, ripercorrendo il progetto di Don Bosco, tanto per capirci. Poi andò in Africa e in India dove conobbe Madre Teresa di Calcutta e, incoraggiato da lei, fondò anche in questi paesi laboratori e scuole di arti e mestieri…Ma anche se lui è volato in cielo diversi anni fa, la sua opera continua, grazie alle nuove generazioni di sacerdoti e missionari… 

– Che bella storia è questa, compare Ulivo…Ma la senti questa musica? Da dove viene? –

– Comare BiancaLuna, mi sa tanto che devi cominciare a metterti gli occhiali…Non vedi? Viene da “VILLA MARIA PIA”. C’è la nuova sfilata primavera-estate 2016… 

– E’ vero compare Ulivo … adesso chiamiamo il nostro inviato speciale Eolo e lo mandiamo lì dentro…e poi ci farà un bel servizio giornalistico, aggiornandoci sullo svolgimento della festa …

– Ben detto, compare Ulivo … siamo in attesa … che bella nottata! –

FINE

Maria Antonietta Bafile

( 22 novembre 2015 )

 

Postfazione

Come nasce il racconto

 

Ho avuto la fortuna di nascere e crescere nel bellissimo e pittoresco Borgo Pacentrano, uno dei borghi della mia amata Sulmona.
Perché bellissimo? Non dal punto di vista estetico, ma per la sua ricchezza sociale e umana … Allora circolavano pochissime auto, non c’era inquinamento, si respiravano odori di animali che accompagnavano i contadini nei campi, di animali domestici che scorazzavano nelle strade del borgo e dei suoi vicoletti … tutt'intorno si diffondevano le vocine squillanti di noi bambini che spensieratamente giocavamo sempre all'aperto, in comunione affettuosa  con gli adulti che chiamavamo “zii, nonne e nonni” …

Nelle sere d’estate, mentre i bambini giocavano, “i grandi” seduti davanti agli usci chiacchieravano … raccontavano della giornata appena trascorsa … e raccontavano del passato …

Una storia ricordo che veniva spesso narrata da mia nonna Vincenzina e dalle sue amiche, quella di Maria, la sartina.

– Eh … mo, che la uerre è fenite … tutte a parlà male de Mussolini …

 Nen scurdemmece l’uojie de ricene…la galere e l’esilie pe’ chi nen la penzeve come a jisse!- intervenivano gli uomini

 E’ le vere…però ha fatte tante cose pe’ i fijie nuostre, fijie de puverielle: i libbre de la scole gratis pe’ chi nen teneve i solde … la colonie a lu mare e alla muntagne … e tante cose … 

 E alle fije d’ orfane della Grande Guerra je regaleve la machene da cuce … ve le recordete? 

 Oddie … la machene da cucè Singer … oddije mamme … ve la recurdete Maria, la giuvenette che j’ se murise lu padre … teneve due fratielle e la mamme … jesse cuceve i vestite alla gente ‘nche la machnee da cucè che ieve lassate la bonaneme de la nonne sé … ma po’ j s’eve rotte e nen sapeve coma fa’ pe’terà annanze  … 

 Scine scine me la recorde pure jè … ’nche l’aiute de Maistre, Don Ferdinando, screvise ‘na lettera a Mussolini che j mannise a la case la machene da cucè … 

 

Quanti anni sono trascorsi da allora! Qualche anno fa in libreria rimasi incuriosita dal titolo di un libro: “ LETTERE DA SULMONA…a Sua Eccellenza Benito Mussolini …” scritto dal mio amico ROBERTO CARROZZO, Responsabile della Sezione di Archivio di Stato di Sulmona.
Man  mano che lo sfogliavo mi innamoravo sempre di più di questo originale libro: quanta umanità dolorosa vi è racchiusa! Lettere toccanti impregnate di disperazione e di speranze di cittadini di Sulmona e del circondario che si rivolgevano al Duce e a Donna Rachele,  come ultima spiaggia, a chiedere aiuto e solidarietà …

E tra queste lettere cosa ho ritrovato? La  lettera di Maria, della Sartina … 
Ecco … adesso io, bambina di ieri del Borgo Pacentrano, la racconto a voi, miei cari lettori, aggiungendo di mio un lieto fine che perdura fino ai giorni nostri.

Maria Antonietta Bafile 

 Maria Antonietta Bafile, "accanita sognatrice come ama definirsi", attrice e scrittrice ha pubblicato Sotto i Cartoni edito da Falco Editore, Urlo d'amore edito dalla Booksprintedizioni, Briciole di vita edito da Edizioni Tracce. Nel 2016, insieme alla pittrice Roberta Papponetti ha pubblicato I trabocchi di Roberta per conto della Casa editrice Fondazione Costanza. 

 

Foto: Gentile concessione foto archivio della pagina Facebook "Memories: officina dei ricordi e delle immagini"

Già pubblicato sul sito della casa editrice PAGINE SRL in data 6 novembre 2016

San Giovanni all'Orfento raccontato da Paolo Sanelli. Tratto da "I miei sogni sono stati tutti sulla Maiella" D'Abruzzo Edizioni Menabò.

di Silvia Scorrano

Maggiormente si racconta della storia di San Giovanni, che ha trasformato una grotta in una chiesa. San Giovanni si era sistemato bene, aveva scelto una grotta nella valle dell'Orfento per fare le sue preghiere, stava magnificamente e purtroppo faceva

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Gli eremi - Paolo Sanelli, I miei sogni sono stati tutti sulla Maiella

di Silvia Scorrano

A quei tempi si andava per eremi, che nella nostra zona ce ne sono veramente tanti. I nostri nonni ed i nostri padri e le nostre nonne e le nostre mamme, avevano tanta devozione per questi eremi. Anche durante le mie uscite con le pecore, quandoandavo a pascolare, passavo spesso vicino a questi eremi: Sant’Angelo, San Benedetto, Sant’Onofrio, Santo Spirito, San Giovanni, San Bartolomeo, Sant’Antonio e Santa Maria. Raccontavano i nostri nonni, che in certi tempi molto lontani, nella valle di Santo Spirito, nella Valle dell’Orfento e nella valle Giumentina, c’erano sette fratelli e una sorella, tutti eremiti che poi hanno costruitogli eremi per far penitenza. 
[….] Nella mia età, quando ero piccolo, a San Bartolomeo c’erano ancora degli eremiti e la gente andava per devozione su queste montagne. Gli eremiti erano pure a Santo Spirito ed i contadini gli offrivano un pezzo di pane e un po’ di formaggio, maggiormente d’inverno questi eremiti facevano compassione, ma avevano le facce come quelle dei santi. A questi eremi si facevano tanti pellegrinaggi, partecipava tutto il paese ed ancora oggi si fanno. In quei tempi i pellegrinaggi li facevano solo i “vicinati”, ora vengono da lontano e vengono pure i turisti perché questi eremi sono veramente santi e belli. Tutti questi eremi li ha fondati quel santo di Celestino V, che aveva pregato su queste montagne per tanti anni: prima si credeva alla fede. 

 

Paolo Sanelli, I miei sogni sono stati tutti sulla Maiella. Ricordi di un pastore raccolti ed elaborati da Marco G. Manilla, Editore: D'Abruzzo Libri Edizioni Menabò, p. 81

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Nato a Montesilvano il 13 maggio 1879 , maestro di scuola elementare, fu giornalista e deputato per il collegio di Teramo (1919) e dell'Aquila (1921).
Nel 1911, collaborò alla fondazione del periodico milanese "La cultura popolare", organo della Unione italiana dell'educazione popolare, di cui fu condirettore, e collaborò a "La difesa delle lavoratrici", uscito a Milano nel 1912, e a "La Critica sociale".
Si occupò dei problemi della scuola, dell'istruzione e dell'emancipazione delle classi lavoratrici. 
Pubblicazioni: 
Dalla terra d'Abruzzo. Otto lettere al giornale “Lombardia” di Milano, Milano, R.Sandron, 1905; riedito da  Associazione culturale Amici del Libro Abruzzese, Montesilvano, 2000
(con la collaborazione di  Enrico Giuriati), Storia della legislazione scolastica sub-elementare, elementare e normale, Treviso, Zoppelli, 1907
L'agonia di Messina. Cento illustrazioni da fotografie di Emidio Agostinoni, Giacomo Brogi e Mario Corsi, Roma, L'Italia industriale artistica, 1908
Il Fucino, Bergamo, Istituto italiano d'arti grafiche, 1908
Altipiani d'Abruzzo, Bergamo: Istituto italiano d'arti grafiche, 1912

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Mo t'apiense ca ride e mmo ca piagne.
L'ajje sentite 'm mèzz'a la campagne,
sott' a la fratte e ppo' sott'a lu ponte:

La fonte

 

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Bradamante al vento

ATTENZIONE EVENTO RINVIATO AL 5 LUGLIO 2018

Pescara 5 LUGLIO ore 19,15  a Casa D'Amico, in via Sacco 56/58  "Bradamante al vento!" , la festa di apertura dell'Associazione Culturale Bradamante

Teatro Racconto Territori. Un teatro che affonda le radici nella memoria e nel territorio, inteso come moltitudine di persone, paesi, natura e identità culturali. ​Bradamante è vento e terra dei racconti erranti... 
All’interno dell’Associazione gravitano musicisti, attori, ricercatori che collaborano in maniera indipendente o con enti pubblici e privati, figure professionali del mondo del turismo sostenibile, della natura, della cultura.
Un festa aperta a tutti e assolutamente all'insegna della condivisione e della convivialità per darvi un piccolo assaggio delle attività che proponiamo, delle ricerche in corso, delle rassegne e degli spettacoli.

PROGRAMMA

14 giugno 2018- 19:00 apertura festa

ore 19:15  Racconta Storie presenta "Bradamante e Ruggero", l'incontro, l'amore, le gelosie, le battaglie tratte da "L'Orlando Furioso" di Ludovico Ariosto.

A seguire, lettura e condivisione del "Manifesto di un Teatro Errante"

20:00 Cena a buffet tra gli alberi di fico

21:00 "Paesi in forma di rosa", presentazione della rassegna teatrale estiva tra Majella e Morrone

21:30 "Nuova Zita" proiezione del cortometraggio girato su un peschereccio dal filmmaker Antonio Di Biase-

22:00 Massi Di Carlo con un estratto da "Canto alla Rovescia"

A seguire...estrazione a premi! Non poteva mancare una piccola lotteria!
La festa è aperta a tutti e si terrà a Casa D'Amico, in via Sacco 56/58 nel popolare quartiere di Villa del Fuoco, meglio conosciuto come Rancitelli, a Pescara. La famiglia D'Amico ci ospiterà nel suo giardino, tra gli alberi di fico e, almeno per questa sera, le galline della signora Pina rimarranno sveglie a festeggiare con noi. Una casa che, dal 2012, ospita le prove dei nostri spettacoli, interrotte solo dal cantare dei galli e dalla proverbiale generosità di Pina e del signor Francesco per la pausa caffè...
Non occorre prenotare, l'ingresso è libero. Chi vorrà potrà contribuire, durante la serata, con un'offerta libera a sostegno delle attività dell'Associazione.

Parcheggio
se deciderete di venire in auto o in moto, potrete utilizzare il parcheggio della chiesa dei Santi Angeli Custodi, al quale si accede da Via Sacco e poi raggiungerci a piedi, è vicinissimo. Se verrete a piedi o in bici, potete entrare direttamente, troverete il cancello aperto, come sempre.Vi aspettiamo con tanta accoglienza!

VIVA IL TEATRO! VIVA BRADAMANTE!

A dialogo nel Parco, sabato 24 marzo

Il Parco Nazionale della Majella, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila promuove sabato 24 marzo 2018 un incontro pubblico, finalizzato a illustrare tutti i dettagli del Progetto sulla convivenza uomo-orso e sulla conservazione dell’orso bruno marsicano. 
“A dialogo nel Parco” costituisce  un'interessante  proposta di comunicazione e partecipazione per la gestione condivisa del territorio. 

La Befana

La mia è vecchina strana,
è ghiotta di spaghetti alla "matriciana"...
ogni anno dalla sua Luna si allontana...

La sua scopa di saggina afferra
e viene sulla nostra terra
a portare la Pace e non la Guerra.

Nel suo sacco non pistole, nè pugnali,
anche se di plastica e "armatoriali"
e sparano colpi artificiali...

A noi adulti manda un messaggio:
"Riuniamoci in assemblea e con coraggio
invitiamo le grandi industrie che i nostri bambini hanno in ostaggio

a fabbricare solo bambole, trenini, palloni,
cucinine, biliardini e costruzioni...
giocattoli che aprono la fantasia a sane emozioni!