Il culto delle acque: santuario di san Michele Arcangelo a Liscia

di Silvia Scorrano

Nel territorio di Liscia, in contrada san Michele Arcangelo, esiste una grotta luogo di culto da tempo immemorabile. Ad essa si accede passando per una suggestiva cappella votiva fatta edificare, nei primi del Settecento, dai Marchesi d'Avalos, feudatari di Monteodorisio.  

 

«La grotta, scavata nel cuore della roccia, ricca di fresca ed abbondante d’acqua e di stalattiti, ha in fondo un Altarino con l’immagine dell’Arcangelo in un quadretto illuminato da una lucerna ad olio» (1). Profonda circa 10 metri e larga 3, presenta sul lato destro una grossa nicchia con una vasca in cui si raccoglie l’acqua che sgorga dalla roccia. Sulla sinistra vi sono due bassi cunicoli, ora murati, che un tempo conducevano nella zona abitativa. Al centro della grotta, di fronte ad una nicchia, nascosto da due pilastri è posto un altare di modeste dimensioni, dietro il quale si apre una piccola cavità circolare. 
Ancora oggi, soprattutto in occasione dell'8 maggio e del 29 settembre, i fedeli si recano in pellegrinaggio nella grotta ripetendo antichi rituali. Le pareti e l'acqua della grotta, grazie all'intercessione dell'Arcangelo, sono ritenute sacre e, in quanto tali, in grado di alleviare le sofferenze umane. Sulle pareti della grotta si strofinano fazzoletti e oggetti sacri; l’acqua, invece, che coinfluisce in una sorta di vasca addossata alla parete, viene bevuta prelevandola con mestoli di rame. 

 

Sulla grotta esistono numerose leggende  riportiamo, nel proseguo, quanto scritto da Emilio Ambrogio Paterno, studioso locale(1): Contemporaneamente al Gargano l’Arcangelo apparve anche nel territorio di Liscia, in una grotta dove era annidato Lucifero, che venne poi scacciato, all’apparire miracoloso del Santo. Da qualche tempo un pastore del limitrofo comune di Palmoli smarriva durante il pascolo un torello che verso sera egli vedeva ricomparire, improvvisamente e per sentieri misteriosi. Un giorno il pastore volle seguire l’animale nel suo strano girovagare. Ad un certo momento osservò, sbalordito, e come d’incanto, che la foresta, impervia e chiusa, si apriva al passaggio del torello che potette camminare così, agevolmente, sino ad arrivare nei pressi di una Grotta del tutto sconosciuta. Ma appena giunto davanti alla caverna il torello s’inginocchiò. Apparve allora in quella «Grotta», in mezzo ad un bagliore di luci, l’Arcangelo S. Michele. Il buon pastore che passo passo aveva seguito l’animale, svenne non potendo resistere a tanto improvviso ed accecante splendore. Quando riprese i sensi si sentì arsa la gola che ebbe necessità assoluta di bere. Allora, per prodigio, prese a gocciolare acqua nella grotta e la bevve. Il torello seguitò il suo misterioso cammino.

  Bibliografia: 
Emilio Ambrogio Paterno, Città e paesi d’Abruzzo e Molise, Pescara, Edizioni Attraverso l’Abruzzo, 1963, pp. 150-153.

Il culto delle acque sacre: la fontana di Sant'Agata a Torricella Peligna

di Acque Sacre

La fontana di Sant'Agata o Fontana delle Sese (seno) si trova lungo la strada comunale per Roccascalegna, in contrada Colle Zingaro, in prossimità di un'area giochi per bambini. L’acqua, un tempo ritenuta sacra in quanto le si riconosceva un potere galattogeno, sgorga da una cannula e si raccoglie in una vasca rettangolare con il lato corto addossato a un basso muro. In una piccola nicchia è contenuta una statuina della Santa. Un luogo semplice, ma tanto amato nel passato, quando si era soliti recarsi alla fonte per chiedere la grazia nel rispetto di un rituale ormai quasi completamente dimenticato.

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Il culto delle acque sacre: Grotta Sant'Angelo di Palombaro

di Acque Sacre

Nel territorio dell’antico feudo d’Ugni, percorrendo un antico braccio tratturale è possibile raggiungere la bellisima grotta di sant'Angelo. Essa è costituita da un ampio riparo sottoroccia nel quale erano praticati antichi rituali idrici. Già luogo di culto delle divinità dei Carricini, con la conquista dei Romani venne dedicato alla dea Bona. La dea era invocata dalle donne in età fertile che vi giungevano in processione per bagnarsi il petto con le acque raccolte nelle cisterne ricavate nel riparo o scavate in prossimità di esso. Le prime due vasche, di forma semicircolare e rettangolare, comunicanti tramite un foro, si trovano sul lato destro dell’ingresso. All’interno, in uno zoccolo roccioso, ne è stata ricavata una terza di forma ellissoidale; un’altra, usata per raccogliere le acque di scolo delle pareti, era stata scavata ai piedi di un masso obliquo. All’esterno, su uno sperone roccioso di fronte al riparo era stata ottenuta una quinta vasca, di forma pseudo-rettangolare, utile per raccogliere l’acqua piovana. Con la cristianizzazione del territorio il culto della dea Bona venne sostituito con quello di Sant’Agata.

La prima notizia storica sull’eremo è contenuta in una bolla di Onorio III del 1221. In proposito della denominazione della chiesetta presente nel riparo si racconta che la popolazione avendo difficoltà a pronunciare il nome Agata lo sostituì con Angelo. Ma il cambio di denominazione potrebbe essere stato un errore di trascrizione o ancora vi potrebbe essere stata l’effettiva sostituzione del culto di Sant’Agata con quello di San Michele alla ripresa della transumanza avvenuta tra il 1447-1448. Alcuni ipotizzano che il passaggio di patronato sia avvenuto già nel 1326 . Si narra che fino al primo trentennio del Novecento nell’Eremo vi fosse un altare e due statue di santi. 

Foto:Antonio Corrado

Su Palombaro:

Un pomeriggio a spasso per Palombaro 
Monumento ai Minatori, Palombaro

Il culto delle acque sacre: la Fonte di San Felice o Fonte Lattiera a Schiavi d'Abruzzo

di Silvia Scorrano

A Schiavi di Abruzzo, nella frazione di San Martino, nascosta nel fitto della vegetazione si trova una sorgente d’acqua un tempo famosa per le sue proprietà. Dedicata a San Felice, protettore del latte materno, la sorgente era chiamata «fonte lattiera».  Il ricordo di questa fonte lo troviamo negli scritti di Emiliano Giancristofaro:  
«Qui convenivano dalla zona di Schiavi ed anche dai paesi del vicino Molise e della Puglia le donne che non potevano allattare i loro bambini, per bere l’acqua taumaturgica e far «ritornare» il latte. La pratica era ed è ritenuta valida sia per le donne che per gli animali, e consiste nel mangiare e bere alla fontana (la cui acqua, come quella delle altre sorgenti in questione, non presenta, stando alle informazioni avute, particolari proprietà farmacologiche) lasciandovi qualcosa: un capo di vestiario oppure un «panille di pane», e chi va subito dopo deve prendere quanto vi trova. La fama di «fonte lattiera» è assai diffusa nella zona per le sue virtù miracolose» (1) .

Inoltre, riprendendo le parole del Serafini, a detta degli anziani nei pressi della fontana era stato visto un serpente, chiamato in dialetto m’basturavacche (o pasturavacche) 
«Con il termine “pasturavacche” o simili ci si riferisce, nel dialetto abruzzese al Cervone (Elaphe quatuorlineata). Il Cervone è un elegante e assolutamente innocuo Colubride, che raggiunge le maggiori dimensioni tra i Rettili italiani (2,40 m.). E’ noto soprattutto per essere il protagonista, a Cocullo (AQ),  dei festeggiamenti in onore di San Domenico ed in tale occasione la statua del santo viene portata in processione ricoperta di serpenti.Il Cervone è chiamato pasturavacche, in quanto la credenza popolare voleva che questo serpente fosse attirato dal latte delle vacche e delle capre al pascolo, e che per procurarselo si attaccasse alle mammelle degli animali, o addirittura lo leccasse dalle labbra sporche dei lattanti» (2).

Grazie ad una ricognizione sul campo fatta da Marco Cirulli e Bruno Zanna è stata ritrovata la fonte nascosta dalla vegetazione e semidistrutta.  

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Il culto delle acque: la Fonte del Beato Toma a Roccamontepiano

di Silvia Scorrano

Ogni angolo dell'Abruzzo, ogni singola pietra nasconde una sua storia. Anche ciò che può sembrare insignificante molte volte riserva grandi sorprese: è il caso della fontana di Fra Toma'. 

 

Una semplice vasca di cemento raccoglie quelle che un tempo venivano considerate le miracolose acque di Frate Tommaso da Firenze. Posta a qualche centinaio di metri a valle del convento di San Francesco Caracciolo, dove il Beato visse per qualche anno, in prossimità di un crocicchio di abitazioni, la sorgente sarebbe scaturita grazie alle sue orazioni. Meno nota rispetto all'acqua di San Rocco, ancora oggi molti Roccolani ne apprezzano le caratteristiche organolettiche.

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Il culto delle acque sacre: Fonte di San Cataldo a Palena

di Silvia Scorrano

All'esterno dell’abitato di Palena, percorrendo la Frentana 84, prima di giungere alle sorgenti dell’Aventino, si incontra la Fonte di San Cataldo, una fontana-abbeveratoio dalle acque sacre a cui la popolazione faceva ricorso per curare le febbri maligne. L’attuale struttura fu progettata nel 1812, durante il regno di Gioacchino Murat, e portata a compimento nel 1830 sotto il dominio dei Borboni. La fonte si trova a ridosso di un basso muretto di pietra che delimita uno spazio, simmetrico e semicircolare, rialzato da tre gradini. Fra le due piccole rampe d’accesso alla fonte è collocata una vasca semicircolare con la funzione di abbeveratoio.

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Il culto delle acque: la sorgente di San Rocco a Roccamontepiano

di Silvia Scorrano

Forse non v’è comune abruzzese alle cui porte non sorga un santuario al pellegrino di Montpellier [….]

ricorda il Finamore, ma quello di Roccamontepiano per San Rocco è un culto molto speciale legato a un leggendario soggiorno del Santo taumaturgico in una grotta dove sopravvisse grazie ad una sorgente la cui acqua, in seguito, fu ritenuta curativa. Ancora oggi in occasione del dies natalis i fedeli si recano nella grotta per bagnarsi in segno di devozione, chiedere la guarigione o preservare la salute. Infatti, venuta meno la peste all’acqua di San Rocco sono state attribuite proprietà curative per tutte le patologie che richiamo la ferita presente sulla gamba del Santo. Spesso i devoti che si recano nella grotta usano camminare scalzi in una sorta di vasca, limitata da un basso muretto, nella quale si raccoglie l’acqua della sorgente.

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Il culto delle acque: la sorgente di Sant'Eufemia a Fara Filiorum Petri

di Acque Sacre

Fara Filiorum Petri, il paese delle farchie, un tempo era famoso anche per la presenza di una sorgente dedicata a Sant’Eufemia, meta di pellegrinaggio in quanto le si riconosceva il potere di far tornare il latte alle donne e agli animali. Un antico culto galattogeno, ancora presente nella memoria degli anziani: 

 

Si pensi all’acqua della sorgente di Sant’Eufemia – scrive Di Fulvio – che sgorga a Fara Filiorum Petri nella contrada omonima, un tempo sede di un monastero benedettino. Raccontano gli anziani che dai paesi circostanti venivano a prenderla, a berla e a bagnarsene perché sia le donne ma anche gli animali domestici (pecore, scrofe, vacche, giumente, asine) portassero abbondanza di latte per i loro nati. L’acqua miracolosa la si assumeva sia a scopo terapeutico che profilattico.Chi voleva prendere l’acqua doveva recarsi prima nella piccola chiesa di Sant’Eufemia e versare un po’ d’olio entro la lampada (la spere) che ardeva dinanzi al simulacro della santa, quindi si recava alla sorgente e vi gettava dentro una manciata (‘najummelle) di grano, granoturco, di ceci o di fagioli; quindi si raccoglieva una manciata della stessa roba gettata dagli altri e la riportava a casa per condividerla con gli animali insieme all’acqua (Elvira Di Fulvio, residente in Fara Filiorum Petri, anni 82).

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