Il culto delle acque sacre: Fonte di San Cataldo a Palena

di Silvia Scorrano

All'esterno dell’abitato di Palena, percorrendo la Frentana 84, prima di giungere alle sorgenti dell’Aventino, si incontra la Fonte di San Cataldo, una fontana-abbeveratoio dalle acque sacre a cui la popolazione faceva ricorso per curare le febbri maligne. L’attuale struttura fu progettata nel 1812, durante il regno di Gioacchino Murat, e portata a compimento nel 1830 sotto il dominio dei Borboni. La fonte si trova a ridosso di un basso muretto di pietra che delimita uno spazio, simmetrico e semicircolare, rialzato da tre gradini. Fra le due piccole rampe d’accesso alla fonte è collocata una vasca semicircolare con la funzione di abbeveratoio.

Nel 1999, a sinistra della struttura è stata posta una lapide a ricordo degli emigranti. Sulla lapide sono riportati alcuni versi della poesia I Pastori di Gabriele d’Annunzio. Un richiamo nostalgico alla pastorizia transumante dalla quale si otteneva la materia prima per la rinomata industria di panni lana.

Imboccando un sentiero alle spalle della fontana si raggiunge agevolmente la chiesa di San Cataldo, menzionata per la prima volta in una Bolla di Papa Clemente III (1080-1100) insieme alle chiese del territorio «Ecclesia Sancti Antonini, Sancti Egidii, Sancti Cristintiani, Sancti Cataldi, Sancti Tome, et Sancti Joanne que sunt in Palene ... »1.

Rimaneggiata dopo la Seconda guerra mondiale, si presenta nella struttura tipica dell’architettura religiosa abruzzese con due finestre devotionis, tipiche delle chiese rurali, poste ai lati del portale. L’interno, a navata unica, presenta sul fondo un altare realizzato in stucco e una statua di gesso del Santo. Attualmente la chiesa non è agibile.

Ricorda Mario Como2:

 Il giorno dieci maggio di ogni anno, ricorrenza della festività del Santo, una folla di fedeli si riversa con devozione su questo colle, per rivolgere ferventi preghiere al Santo e ristorarsi anche con l’acqua salutare dopo lungo cammino.

«SISTE VIATOR! SANCTI CATALDI GRATIA UBERRIMUS GELIDIS AQUIS ET SACRIS HIC FONS»

 

«Fermati o passeggero: qui è la Fonte di gelide e prodigiose acque di San Cataldo».

 

La vita del Santo: San Cataldo

Patrono di Taranto e compatrono in Abruzzo di Giuliano Teatino, San Cataldo nacque in Irlanda, s’ipotizza a Canty, nella diocesi di Waterford, nella prima metà del VII secolo. Proveniente da una famiglia molto devota ed economicamente agiata fu educato nel celebre monastero di Lismore, dove rimase come maestro. La generosità profusa verso i poveri e la diffusione di notizie in merito ad alcuni miracoli che avrebbe compiuto gli valsero la fama di santo taumaturgo; ma ciò non impedì che fosse accusato dal duca di Desii, Meltrid, di stregoneria e fatto arrestare. La tradizione riporta che la sua liberazione avvenne dopo il verificarsi di due eventi prodigiosi: la morte improvvisa di Meltrid e l’apparizione di due angeli al re che, profondamente turbato, fece liberare San Cataldo e lo nominò vescovo della sede di Rachau.

Trascorsi alcuni anni di ministero, il Santo si recò in Palestina con l’intento di passarvi, in preghiera e solitudine, il resto dei suoi giorni. Un desiderio che non riuscì a soddisfare; si narra, infatti, che ispirato da un’apparizione partì alla volta di Taranto per riportare il popolo al cattolicesimo. Dopo un viaggio fortunoso arrivò a Otranto per dirigersi alla volta di Taranto3 dove, appena giunto, compì un miracolo grazie al quale fu eletto vescovo per comune consenso del clero e del popolo. Morì l’8 marzo tra la fine del VII e gli inizi dell’VIII secolo.

Per espresso desiderio del Santo, il corpo fu solennemente inumato sotto il pavimento del duomo. Il monumento funebre, di cui si era persa traccia dopo la distruzione di Taranto per opera dei Saraceni (927), fu scoperto il 10 maggio 1071 mentre erano in corso i lavori di scavo della nuova cattedrale voluta dal vescovo Drogone.

Il ritrovamento e le successive traslazioni delle spoglie mortali di San Cataldo furono accompagnati da eventi miracolosi che contribuirono a diffondere il culto per il Santo irlandese. Come già ricordato, la festa di San Cataldo ricorre il 10 maggio, giorno in cui furono ritrovate le spoglie.

L’abitato

Inserito in un singolare contesto naturalistico tra i monti Porrara e Coccia, con un’escursione altimetrica che da circa 600 metri arriva ai 2600 metri s.l.m. e una biodiversità vegetale di oltre 2000 specie, Palena presenta un’offerta turistica ampiamente diversificata. Dal turismo della neve e naturalistico al turismo d’arte e culturale, nonché religioso che trovò nel silenzio dei boschi del Monte Porrara il luogo ideale per potersi esprimere. Denominato Mons Pallenium ai tempi dell’antica Roma su di esso fu edificato un tempio in onore di Giove, Templum Jovis Palenae; mentre in epoca cristiana le sue caverne e i folti boschi ospitarono San Falco Eremita, Fra Pietro Angelerio e San Nicolò da Forca Palena.

L’ambiente naturale dal notevole fascino, l’alto valore storico-culturale del Castello, la cura e la manutenzione dell’arredo urbano, in aggiunta alla varietà e alla qualità dell’offerta turistico-ricettiva, hanno valso al borgo il marchio di Bandiera Arancione del Touring Club Italiano, prestigioso riconoscimento di qualità turistico-ambientale attribuito ai comuni dell’entroterra.

L’incontro con l’arte

Chiesa di Sant’Antonino e San Falco: edificata intorno all’VIII secolo dai Benedettini volturnesi, sulle rovine di un tempio in onore di Giove o Ercole, fu dedicata dapprima alla Vergine e successivamente a Sant’Antonino. Assunse l’attuale denominazione nel 1383 quando, per ragioni di sicurezza, vi furono trasferiti i resti di San Falco. Più volte distrutta è stata sempre ricostruita sullo stesso luogo. Nel 1706, un violento terremoto danneggiò gravemente oltre i tre quarti del paese e demolì l’edificio religioso lasciando illesi solo gli armadi del reliquario. La chiesa fu presto ricostruita ma venne abbattuta nel 1841 quando, a causa dell’incremento demografico, si rese opportuno ingrandire la preesistente struttura; in soli tre anni si realizzò un più ampio luogo di culto su progetto di Raffaele Chiaverini, con l’esecuzione del maestro De Pamphilis, ambedue di Palena. Nel novembre del 1943, durante i bombardamenti degli Inglesi la chiesa, ad eccezione del campanile, venne nuovamente distrutta; fu riedificata nel 1953.

Chiesa Madonna del Rosario: localizzata lungo Corso Umberto I, in prossimità del Municipio, è stata edificata nel 1757 sul sito di un’antica costruzione. Denominata, fino al 1832, Chiesa di Santa Maria della Neve rientra nell’esiguo gruppo di edifici barocchi con un impianto a croce inscritta. Una scalinata a doppia rampa anticipa l’elegante facciata ed evidenzia ancora di più l’andamento concavo-convesso della superficie scandita da due paraste in doppio ordine e chiusa da una terminazione a timpano spezzato. La chiesa conserva interessanti opere come la scultura lignea e policroma della Madonna con il Bambino che risale agli inizi del Quattrocento, una tela del 1870 raffigurante Sant’Andrea Apostolo opera di Oreste Recchione da Palena e, infine, una cassa d’organo intagliata e dorata risalente alla metà del Seicento.

Chiesa e convento di Sant’Antonio: il complesso, la cui costruzione fu approvata da papa Paolo III il 21 agosto del 1539, si trova ai piedi del Monte Porrara, in località Villa Galardi. Distrutto dal terremoto del 1706, fu ricostruito con alcune modifiche e recentemente restaurato nelle finiture esterne. La chiesa è preceduta da un portico dove si aprono tre arcate a tutto sesto sormontate da altrettante finestre. Al di sopra si erge la facciata della chiesa in cui è inserita un’apertura rettangolare più un piccolo oculo. L’interno a navata unica, in stile barocco, è costituito da tre campate alle quali si aggiungono l’area del presbiterio e quella terminale del coro. Nell’ex convento sono ospitati il Museo dell’Orso Marsicano e una struttura ricettiva turistico-culturale.  

Chiesa di San Francesco: fondata nel 1308, e ampliata nella seconda metà del Seicento in forme barocche, fu definita dal poeta napoletano Pietro Paolo Parzanese «svelta, proporzionata, ridente». L’interno ad aula unica presenta una ricca decorazione plastico-pittorica; da segnalare un affresco sulla volta raffigurante la morte della Vergine e l’altare maggiore inquadrato da colonne spiraliformi e affiancato dalle statue dei re Salomone (a destra) e David (a sinistra). Sugli altari laterali, ornati da statue raffiguranti santi e profeti, si trovano tele risalenti al XVIII secolo.

Eremo della Madonna dell’Altare4: è stato costruito nel XIV secolo dai monaci celestini in prossimità di una grotta in cui avrebbe soggiornato Fra Pietro da Morrone, tra il 1235-36. Con l’abolizione dell’ordine Celestiniano, nel 1807, il complesso religioso fu gestito dalla famiglia Perticone che nel 1970 lo donò al Comune. L’eremo, localizzato sopra una rupe che lo rende impenetrabile su tre lati, è composto da una chiesa e da un nucleo abitativo disposto su tre livelli; completa il tutto un giardino pensile. La chiesa presenta una copertura a capanna a sud e irregolare a nord. Persa l’usanza di trascorrere la notte nell’eremo, attualmente vi si giunge il 2 luglio e il 12 settembre, per la festa della Madonna dell’Altare, e il 15 agosto per la festa di San Falco.

Castello Ducale: posto sopra un costone roccioso, nella parte più alta del paese, il castello, originario dell’anno mille, fu edificato sull’area occupata da un tempio dedicato alla dea Cerere, come attesterebbe il ritrovamento di una grossa pietra con incisa l’iscrizione DIA sormontata da due espressioni ideografiche. Il Castel Forte di Palena, nella sua prima denominazione, fu avidamente conteso per la sua posizione dominante sullo sbocco del Valico di Coccia. Proprietà di Matteo di Letto, la struttura passò nelle mani delle più importanti famiglie feudali della zona: dai conti di Valda, ai Conti Borrelli, dai Mallerius ai Conti di Sangro. Durante il periodo Svevo, il Conte Tommaso di Caprofico vi avrebbe ospitato San Francesco che da Guardiagrele si dirigeva verso Castelvecchio Subequo. Restaurato più volte, ha perso l’aspetto di una roccaforte medioevale – di cui rimangono le solide mura a scarpa, la pianta quadrangolare e le porte di accesso – per assumere le sembianze di una residenza con l’apertura rinascimentale delle finestre e l’aggiunta del loggiato.

Museo Geopaleontologico Alto Aventino: localizzato nel Castello Ducale, è stato istituito per valorizzare i reperti paleontologici provenienti dal territorio di Palena e dell’Alto Aventino. Nel museo sono allestite tre sezioni: la Sala della Conoscenza, la Sala dell’Aventino e le Sale Palena. Esso è stato realizzato grazie all’opera di ricerca, raccolta e studio condotta da Erminio Di Carlo, scopritore del Geosito Capo di Fiume prossimo alle sorgenti dell’Aventino. Museo e Geosito costituiscono un percorso integrato.

Teatro dell’Aventino: tra i più piccoli teatri d’Europa (solo novantanove posti) è realizzato in perfetto stile italiano: con una platea, due ordini di palchetti e un loggione. Le prime notizie sull’esistenza di un teatro a Palena risalgono a un documento del 1812 in cui i giovani ne chiedevano il restauro. Un tempo, il Teatro era ubicato in prossimità dell’attuale Chiesa di San Francesco, una posizione ritenuta poco convenevole per la vicinanza al luogo sacro; si ritenne opportuno, quindi, spostarlo nell’attuale struttura. Nel 1921, il teatro ospitò la famosa compagnia di Eduardo Scarpetta. Chiuso dopo il terremoto del 1984, è stato riaperto nel 1998 nel ricordo del palenese Ettore Margadonna, scrittore e sceneggiatore di Cinecittà. La stagione teatrale è garantita dalla Compagnia locale la “EMME.BI”.

San Falco

Nato a Taverna, in Calabria, verso la metà del X secolo da una nobile famiglia, San Falco si ritirò ben presto nel monastero di Pesica, fra i Basiliani, sotto la guida dell’abate Ilarione. Nell’ultimo ventennio del 900, per sfuggire alle invasioni dei Saraceni, Ilarione in compagnia di sette monaci – i cosiddetti “setti fratelli5” – abbandonò la Calabria e risalì lungo la penisola. I monaci si stabilirono nel feudo di Prata presso le rive del fiume Aventino, al confine tra Casoli e Civitella Messer Raimondo. 

Morto Ilarione il nuovo Abate, Nicola il Greco, chiese ai confratelli di compiere un pellegrinaggio a Roma. Durante il viaggio riuscirono con la forza della preghiera a liberare dagli spiriti maligni sette indemoniati incontrati nei pressi del Lago di Fucino. Un fratello, per problemi di salute, lasciò i compagni e si ritirò nei pressi di Ortucchio nella chiesa della Santissima Vergine. Gli altri, compiuto il pellegrinaggio, fecero ritorno a Prata. Dopo qualche tempo, morto Nicola il Greco, i confratelli, non riuscendo a eleggere un successore, si divisero. Falco si diresse verso Roma ma giunto al calar della notte a Palena, sopraffatto dalla stanchezza, si fermò a riposare a Sant’Egidio. All’arrivo dell’Eremita, gli spiriti maligni abbandonarono la contrada; il popolo mostrò una grande riconoscenza al Santo che, commosso, decise di rimanere tra quelle genti.

Nel giorno della sua morte, avvenuta il 13 gennaio (di un anno prossimo alla metà dell’XI secolo), la piccola campana dell’eremo iniziò a suonare. Accorsero in molti per dare soccorso al monaco che trovarono esanime, disteso su di una tavola con due candele accese. Il corpo fu trasportato nella chiesa di Sant’Egidio Abate dove fu sepolto.

San Falco è venerato sin dalla morte per la capacità di liberare dal demonio. Si narra, in proposito, del prodigio compiuto nei confronti di un ossesso che trascinato e legato alla statua di San Panfilo di Sulmona fu visto spezzare le funi e correre verso il sepolcro dell’Eremita dove, appena giunto, fu liberato dallo spirito maligno. Da quel momento la fama del Santo, sostenuta anche da altri miracoli, divenne ancora più grande tanto che a richiesta del popolo le spoglie furono esposte alla pubblica venerazione. Nel 1383, per paura delle continue scorrerie, il vescovo di Sulmona fece effettuare la traslazione delle reliquie e della statua di San Falco nella chiesa di Sant’Antonino Martire.

Due volte l’anno, la teca contenente le reliquie del Santo, la tunica Dalmatica alla Greca e la statua d’argento con il teschio sono esposte alla devozione dei fedeli: il 13 gennaio, in commemorazione della morte, e la domenica successiva al 29 agosto in ricordo della traslazione dalla chiesa di Sant’Egidio.

I resti dell’Eremo si trovano fuori del paese, sui fianchi di una collina chiamata Coste di San Falco.

L’incontro con la natura

Capo di Fiume: a circa due chilometri dall’abitato di Palena, lungo la Statale 84 Frentana, ai piedi del Monte Porrara, un percorso attrezzato consente di visitare le sorgenti del fiume Aventino. Una di esse viene chiamata Sorgente del Re in onore di Umberto I di Savoia che vi fece sosta. Le acque scaturiscono da un burrone posto pochi metri sotto il livello stradale.

Geosito Capo di Fiume: prossimo alle sorgenti dell’Aventino, il geosito venne individuato da Erminio Di Carlo, studioso locale, che effettuò importanti rinvenimenti esposti nel Museo Geopaleontologico Alto Aventino. Il materiale fossile recuperato consente di ricostruire le caratteristiche di un’area che durante il Miocene superiore era un ambiente marino costiero con lagune e paludi. Nel 1998, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha emanato degli opportuni decreti di vincolo a protezione del geosito e della collezione del Di Carlo. Sul luogo è pertanto vietata la raccolta di fossili e di rocce.

Area faunistica dell’Orso: sita in località Colle Veduta, con una superficie di circa 11 mila metri quadrati, rientra tra le attività del Parco Nazionale della Majella per la tutela dell’orso bruno.

Riserva Naturale del Quarto di Santa Chiara: istituita nel 1982, protegge 485 ettari di prateria degli ambienti umidi e palustri. Si tratta di un vasto ripiano carsico, in gran parte demanio comunale, esteso per oltre 10 chilometri in direzione di Roccaraso. In primavera le acque del disgelo formano un affascinante laghetto prima di essere assorbite dal sottosuolo e dal Fosso la Vera, un breve corso d’acqua che s’inabissa nell’inghiottitoio carsico Trobozzaturo.

 

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Note

1 - Celidonio C., La Diocesi di Valva e Sulmona, Casalbordino, 1909-1912, Sulmona, Edizioni Accademia degli Agghiacciati, ristampa 2000, vol. I, p. 52.

2 - Como M., Palena nel corso dei secoli, Sulmona, Tipografia “La Moderna”, 1977, pp. 306-307.

3 - Alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi di uno sbarco nell’attuale spiaggia di San Cataldo, una frazione del comune di Lecce; altri ritengono che il Santo avrebbe fatto naufragio nel golfo di Taranto.

4 - Il toponimo altare, secondo alcuni studiosi, è dovuto alla forma della roccia su cui è stato edificato l’eremo.

5 - Grazie al loro operato, i confratelli ebbero modo di farsi amare in tutto il territorio regionale. Il loro culto, approvato dalla Sacra Congregazione dei Riti il 2 luglio 1893, è ancora praticato: San Nicola il Greco è venerato a Guardiagrele, San Rinaldo a Fallascoso (frazione di Torricella Peligna), San Franco a Francavilla al Mare, Sant’Orante a Ortucchio. Santo Stefano, detto “il lupo”, molto amato a Manoppello, venne sepolto presso l’eremo di Santo Spirito a Majella (si veda in proposito la scheda di Roccamorice). San Giovanni, infine, viene ricordato a Rocca San Giovanni, paese a cui avrebbe dato il nome.