Il culto delle acque: la sorgente di San Rocco a Roccamontepiano
- di Silvia Scorrano
Forse non v’è comune abruzzese alle cui porte non sorga un santuario al pellegrino di Montpellier [….]
ricorda il Finamore, ma quello di Roccamontepiano per San Rocco è un culto molto speciale legato a un leggendario soggiorno del Santo taumaturgico in una grotta dove sopravvisse grazie ad una sorgente la cui acqua, in seguito, fu ritenuta curativa. Ancora oggi in occasione del dies natalis i fedeli si recano nella grotta per bagnarsi in segno di devozione, chiedere la guarigione o preservare la salute. Infatti, venuta meno la peste all’acqua di San Rocco sono state attribuite proprietà curative per tutte le patologie che richiamo la ferita presente sulla gamba del Santo. Spesso i devoti che si recano nella grotta usano camminare scalzi in una sorta di vasca, limitata da un basso muretto, nella quale si raccoglie l’acqua della sorgente.
Un rituale di devozione e di purificazione, compiuto nella speranza di recuperare o mantenere la salute. Il prezioso liquido viene dispensato ai malati che lo bevono per ottenere la grazia della guarigione o, almeno, di essere alleviati dalle sofferenze. La devozione per l’acqua di San Rocco e la fama del suo potere terapeutico sono diffusi in tutto il Chietino.
La più antica notte bianca d’Abruzzo
I festeggiamenti in onore di San Rocco sono attestati in documenti risalenti alla fine dell’Ottocento. I pellegrini, il 16 agosto, giungevano a Roccamontepiano scalzi, portando le scarpe unite per i lacci e la “baschetta” sotto il braccio. Un pellegrinaggio collettivo, momento di penitenza ma anche di aggregazione. Visitata la chiesa, i fedeli praticavano le abluzioni all’interno della grotta e dopo sostavano nei prati e nei boschi limitrofi per consumare il pasto portato da casa.
I festeggiamenti prevedevano anche una processione con le statue di San Giovanni, Santa Filomena e Santa Lucia che precedevano quella di San Rocco. Seguiva la sfilata delle conche di rame, riempite di grano e decorate con mazzi di fiori, portate sul capo dalle giovani del paese. L’offerta del grano e l’usanza di distribuire ciambelle con semi di anice richiamano gli antichi riti agrari; la stessa data, 16 agosto, lascia ipotizzare che la figura di San Rocco abbia sostituito quella di Vertumno, divinità agraria preposta alla maturazione dei frutti.
Nel 1927 anche Gabriele D’Annunzio si recò in pellegrinaggio come si deduce da una nota riportata in una lettera scritta al Michetti il 31 agosto del 1927 e da un ex voto dedicato a San Rocco conservato al Vittoriale.
Attualmente, l’antica festa rurale si svolge senza dal 14 agosto fino all’alba del 17. Il 16 agosto si ripetono i tradizionali rituali con il pellegrinaggio alla grotta, le abluzioni e la sfilata delle conche e, a mezzanotte, i fuochi d’artificio.
San Rocco nella tradizione abruzzese
Per quanto riguarda San Rocco in Abruzzo si ritiene opportuno citare il lavoro di Mario Angelini risalente al 1966. Documenti comprovanti il passaggio di San Rocco a Roccamontepiano non ve ne sono, tuttavia lo studioso ritiene che sia un’ipotesi alquanto veritiera:
Ricollegando alcuni fatti e il culto fortissimo del popolo, si è saputo che San Rocco certamente dimorò a Roma per ben due anni e cercò di incontrare un cardinale, un Colonna o un Orsini, si pensa quindi che siccome i pellegrini a quel tempo venendo dalla Francia e dalla Spagna, cercavano di passare in Terra santa e avendo i Colonna un feudo di loro proprietà con rispettivo castello in Roccamontepiano, San Rocco si sia fermato nella Rocca dei Colonna.
[...] É da ritenere quindi che San Rocco o altri pellegrini partendo da Roma per passare in Terra Santa si facessero accompagnare da queste scorte militari dei Colonna per un buon tratto di strada soggiornando per un po’ di tempo nella Rocca di Montepiano, anche perché a quel tempo, per i predoni che infestavano le zone montuose appenniniche, era difficile poter passare da soli senza essere molestati.
San Rocco colpito poi dalla peste che infieriva a Roma e in Abruzzo si fermò a Roccamontepiano.
Comunque la tradizione dice che San Rocco si ricoverò nella grotta ora denominata: «Grotta di San Rocco» e che un cane del paese gli portava il pane.
Come già accennato il legame tra il Santo e i Roccolani è stato rinforzato dai due estesi eventi franosi del 1765 e del 1843 che risparmiarono la chiesa di cui era patrono.
LA GROTTA E LA FONTANA DI SAN ROCCO
La grotta, quasi nascosta alla vista dei passanti, si trova al margine di una moderna piazza delimitata su due lati da una fontana costituita da 7 cannelle da cui esce l’acqua che si raccoglie in una vasca che corre per tutti e due i lati della piazza. Molti vengono a raccoglierla per la sua purezza.
La grotta, si presenta di dimensioni ridotte rispetto l’originale a causa delle diverse frane che tra il Settecento e l’Ottocento hanno colpito Roccamontepiano. Nascosta dalla strada, si raggiunge scendendo con una breve scalinata. Nella grotta domina una statua di terracotta raffigurante il Santo con accanto il cane e i simboli dell’acqua e del pane. La statua è contornata da angeli, fiori finti, foto a ricordo delle grazie ricevute. Più in basso si trova la preziosa acqua.
Chiesa di San Rocco
Localizzata all’inizio di via Maiella, distante qualche centinaio di metri dalla grotta, la chiesa risale agli anni ʼ60 del Novecento. Il Santuario, realizzato in travertino locale, ha una facciata moderna suddivisa a salienti e terminante in alto con un corpo pentagonale prominente dalla facciata. Il campanile, in stile medievale, è a pianta quadrata. Nella chiesa, sulla sinistra in una sorta di tempietto è conservata la statua di San Rocco. In una bacheca sono raccolte le testimonianze della forte devozione ancora esistente con il Pellegrino di Montpellier: ex voto, biglietti di ringraziamento, richieste di grazie che provengono da tutto l’Abruzzo.
Fonti storiche riportano l’esistenza di un’antica chiesa edificata intorno alla metà del Seicento, probabilmente in occasione dell’epidemia di peste che nel 1654 colpì il Regno di Napoli. L’edificio era localizzato extra moenia, come la maggior parte delle chiese dedicate a San Rocco, per proteggere il paese dall’arrivo della peste e isolare i malati in spazi lontano dai centri abitati. La struttura sopravvisse miracolosamente alla terribile frana del 1765 contribuendo a diffondere ulteriormente il culto per il Santo.
L'abitato
Roccamontepiano sorge lungo le pendici del Montepiano, tra i valloni Fontenuova e Focaro, ai piedi del versante orientale del massiccio montuoso della Majella. Un territorio in gran parte montano caratterizzato da una non trascurabile escursione altimetrica – dai 150 metri ai 650 metri s.l.m. – che determina una significativa diversificazione paesaggistica. Lo zoccolo di roccia travertinosa di Montepiano funge da grande riserva idrica e alimenta l’area boschiva sottostante; mentre le colline argillose, ripide ed assolate, sono ricamate da una fitta trama di calanchi.
L’origine di Roccamontepiano è da ricollegare ad un mitico e non identificabile abitato detto Belconia cui facevano capo diversi castelli appartenenti ai re Pipino e Trattullo.
Il paese, menzionato per la prima volta nelle carte compilate dal geografo arabo Al Idrisi per il Re Ruggero d’Altavilla (seconda metà del secolo XII) viene descritto come Ruqqua N Lan; successivamente, in documenti del 1300, lo si trova citato come Rocca Montis Plani o Rocca De Monte Plano. Il vasto territorio, suddiviso nei feudi di Pomaro, San Pietro, Sant’Angelo e Polegra era proprietà del vicino Monastero di San Liberatore a Majella, distante pochi chilometri.
La recente scoperta archeologica in località Sant’Angelo di alcune tombe medievali tra cui figura quella di un giovane con il proprio corredo funebre che comprendeva anche la conchiglia, segno distintivo dei pellegrini, conferma l’ipotesi che Rocca si trovasse sul percorso pedemontano del versante orientale della Majella che dall’Aquila-Roma si dirigeva verso l’asse adriatico. L’antico abitato, sviluppatosi nell’Alto Medioevo intorno a una rocca longobarda localizzata sulla sommità di Montepiano, fu distrutto dalla frana del 24 giugno 1765 dalla quale si salvarono il Monastero di San Pietro, il Convento di San Francesco, le chiesette di San Rocco, della Madonna della Neve e della Madonna delle Grazie.
La frana, oltre a distruggere l’intero centro abitato causando più di 500 vittime, determinò la ricostruzione delle abitazioni in maniera sparpagliata sull’intero territorio essendo venuta meno la necessità di difesa dalle invasioni. L’attuale agglomerato urbano risale al XIX secolo.