La Domenica delle Palme nella tradizione abruzzese.

di Antonio De Nino

L'ulivo costituiva un simbolo di pace e di vittoria nel mondo greco, dai Romani era usato per indicare gli uomini illustri, gli Ebrei lo associavano all'idea di giustizia, nel credo cristiano rappresenta un simbolo di rigenerazione e di pace. E per gli Abruzzesi? Antonio De Nino ricorda le usanze della Domenica delle Palme

XVIII

LA DOMENICA DELLE PALME¤



Dove non c’è la coltivazione degli ulivi, s’aspetta con molto desiderio la venuta nientemeno che di un asino carico di rami della simbolica pianta. E’ il parroco che fa venire da lontano questo allegro dono per dispensarlo ai divoti nella sua parrocchia. Dove poi v’ha piante di ulivi, la festa riesce più bella. I giovanetti, la mattina per tempo o il giorno innanzi, vanno alle campagne vicine a tagliarne dei rami alti e fronzuti, che portano quasi in processione nel paese e per lo più intorno alla chiesa fino all’ora della messa. Parecchi tornano a casa; dai teneri ramoscelli tagliano con le forbici molte coppie di fronde con porzione del ramoscello stesso, e le intrecciano poi intorno intorno a un ramo sfrondato tutto, fuorché nella cima, disponendole come le foglie di ailanto o gaggìa. Qua e là, sempre dal lato sbiadito delle fronde, che è la prospettiva del lavoro, si sogliono appiccicare con un po’ di colla alquanti pezzetti di talco o di carta colorata o di orpello. Vi si attaccano anche fiori finti e confetture e vi si avvolgono nastri. — Oh cari ricordi!
All’ora della messa tutti sono in chiesa co’rami d’ulivo in mano. E poiché i rami alti e fronzuti sono i più; a mettersi a guardare un po’ in alto, si vede come una selva d’ulivi che si muovono a onde, a valzere, a contradanze, secondo il diverso e vario movimento dei giovanetti. La vivacità del moto e il ronzìo delle voci cresce nell’atto della benedizione. Poi, tutti lieti a casa. In qualche paese, per esempio in Pratola Peligna, a tavola c’è sempre la rituale minestra di lasagne. Si ritiene questo come un augurio di abbondante ricolto. A Casalbordino e a Vasto, ciascuno reca alla propria campagna il suo ramo d’ulivo benedetto e ve lo lascia lì dritto o per divozione o anche per buon augurio.
La pianta simbolica! dicevo poco fa. E sì: l’ulivo, simbolo di pace, è anche apportatore di pace. Chi non istà in pace, e sente il bisogno di smettere i rancori, nella domenica delle palme manda o dà egli stesso all’avversario un ramo d’ulivo; e la pace è fatta. Si rafforzano le amicizie, mandando o dando rametti di ulivo. Si suol dire :


Ecche (o damme) la parma se vo’ fa’ la pace:
Non è. chiù tiempe de facce la guerra (1)


In casa comincia il giuoco sui carboni accesi. Si spicca una fronda dal ramo d’ulivo; e, nel posarla sulle braci, con una semincredula aspettazione, si dice :


Pàlema binidetta,
Che véje ’na vota l’ anne,
Sàcceme a dice se more st’anne (2)


Lo stesso si fa a Casalbordino e a Cugnoli in Pasqua Epifania; ma si dice in quest’altro modo:


Pasqua Befanie
Che ve’ na vota Fanne
Sàcceme a dice se me more n’atr’amie (3)


Se la foglia, prima di bruciarsi, salta e fa rumore,


E cigola per vento che va via,


allora si vive: diversamente, si muore. Il bello è quando per caso la foglia brucia senza muoversi. Si crederebbe che ciascuno si dovesse rassegnare al pronostico. Mai no! Si ritenta la pruova fino a che la fronda salti e cigoli. Il giuoco insomma deve finire col far rimanere contenti tutti: tanto è lusinghiera la vita!

 

Note:

¤Usi di Atessa, Avezzano, Bugnara, Canzano Pretuzio, Capistrello, Caramanico, Casalbordino, Castell’ a Fiume. Castellammare, Cugnoli, Copiano Sicoli, Introdacqua, Ortucchio, Pentima, Pescocostanzo, Pescosansonesco, Popoli, Pratola Peligna, Roccacasale, Scanno, Tagliacozzo, Vittorito, Vasto.
(1) Ecco la palma, so vuoi far la pace: 
Non è più tempo di farci la guerra.
(2) Palma benedetta, 
Che vieni una volta l’anno,
Sappimi dire se mi muoio quest'anno 
(3) 
Pasqua Epifania 
Che vieni una volta l'anno 
Sappimi a dire so mi muoio un altro anno.

Fonte: Antonio De Nino, Usi Abruzzesi, Firenze, Tipografia di G. Barbera, 1879, pp.39-42.

Sempre da Usi Abruzzesi

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