Il culto delle acque sacre: San Bartolomeo e la Fonte del Catenaccio a Roccamorice

di Silvia Scorrano

Ci lasciasti [San Bartolomeo] ancora la memoria dell’acqua del Fonte Catenaccio,
che chiunque con fede, la gitta dove è il bisogno, 
tu dall’alto dei cieli ci fai scendere le tue benedizioni, e di fatti ne stiamo a vedere la pruova, 
che mercè quest’acqua prodigiosa guarisci le vigne dalla Peronospera;
sana gli infermi, guarisce gli storpi, restituisce la vista ai ciechi, 
ridona la parola ai sordo-muti, consola le povere vedove, 
conforta i pupilli e concede la pace alle famiglie […] (1) .  

Un'acqua sacra, prodigiosa, quella della Fonte del Catenaccio, scaturita secondo la tradizione per opera dello stesso Celestino V: 

«Si narra che Pietro avesse lanciato il catenaccio della porta nel fosso sottostante e, sulla pietra, sarebbe rimasta l’impronta del catenaccio dalla quale, miracolosamente, sarebbe sgorgata quell'acqua fresca e leggera che non ha mai smesso di scorrere. A quell'acqua è stata sempre attribuita una capacità taumaturgica, documentata nelle storie del paese e nella vita di Pietro Celestino» (2) .

La  Fonte del Catenaccio si trova nel vallone di Santo Spirito, in prossimità dell'Eremo di San Bartolomeo. In una piega della roccia, già luogo di rifugio per i pastori, intorno all'anno Mille si era insediato un gruppo di monaci mediorientali che vi aveva introdotto il culto di San Bartolomeo apostolo. Nella seconda metà del Duecento il romitorio venne ristrutturato da Pietro Angelerio dal Morrone che, rientrato da Lione,  vi soggiornò, dal 1274 al 1276. Ed è proprio alla figura di Celestino V che si legano le prime notizie storiche sull'eremo in quanto l’Ecclesia Sancti Bartholomaei de Logio in Roccamorice figurava tra i beni appartenenti al Monastero di Santo Spirito de Magella, come risulta dalla Bolla del 22 marzo 1274 con cui Gregorio X approvava l’Ordine Monastico fondato da fra' Pietro del Morrone secondo la regola di San Benedetto. La specificazione de Logio in altri documenti diventava de Legio, de Ligio, di Elidio fino ad essere sostituita dall'espressione Riofreddo con riferimento all'acqua che scorre nel sottostante vallone.

L'eremo è un luogo molto caro ai Roccolani. Un luogo dove i devoti si recano a chiedere sollievo dalle umane sofferenze. Frequentato tutto l’anno, si anima soprattutto il 25 agosto. Prima che spunti il sole i fedeli si avviano verso l’eremo e, giunti ai piedi della scala santa, non manca chi l’ascende in ginocchio. Nella chiesetta, celebrata la messa, in fila si va verso il pozzetto per bagnare le mani e il viso con l’acqua sacra o per raccoglierla e conservarla per i momenti di bisogno. Verrà usata soprattutto per le malattie della pelle o per benedire le vigne e scongiurare il pericolo della peronospora. È consuetudine anche scendere, passando per la scala santa, fino al torrente Capo la Vena che scorre in fondo al vallone. Anche qui i fedeli si bagnano, ripetendo un culto idrico che mostra, per il contesto ambientale e religioso degli insediamenti protostorici presenti nella zona, di essere antichissimo. Dopo le abluzioni e vari atti penitenziali è tradizione fare colazione lungo il greto del fiume, per dopo risalire all'eremo da dove, verso le sette, parte una processione nella quale i devoti si dirigono verso il paese portando a turno tra le braccia la piccola statua di San Bartolomeo. Tra marce trionfali e spari di mortaretti, San Bartolomeo è posto solennemente sull'altare maggiore della chiesa parrocchiale dove rimarrà  per sette giorni. Terminata la permanenza in paese, l'Apostolo è riportato nel suo rifugio sui monti: alle sette del mattino, si parte dalla chiesa patronale alla volta dell’eremo dove viene celebrata la messa. Dopo la funzione religiosa è tradizione scendere al torrente per consumare una frugale colazione.

Ma a San Bartolomeo si ricorre tutto l’anno. Nel silenzio si chiede la grazia, in ginocchio i fedeli si trascinano dalla porta della chiesetta sino ai piedi del Santo, alcuni il percorso l’hanno compiuto completamente distesi sul ruvido pavimento in uno strascinane della lingua ancora più doloroso.

Sulla vita dell’apostolo Bartolomeo si hanno poche notizie, originario di Cana in Galilea si sarebbe unito a Gesù tre giorni prima del miracolo del vino. Nel suo apostolato fece lunghi viaggi.  Arrivato in Armenia convertì re Polimnio dopo averne esorcizzato la figlia. Subì il martirio nella città di Albanopolis (o Urbanopoli) per ordine di re Astiage, fratello di Polimnio. Anche sul martirio patito dal Santo esistono diverse versioni. Secondo la tradizione diffusa in Oriente, l’Apostolo sarebbe stato crocifisso, mentre secondo quanto riportato dai martirologi di Rabano Mauro, di Adone e di Usuardo sarebbe stato decapitato. Isidoro di Siviglia e il Martirologio di Beda parlano, invece, dello scuoiamento. Nella tradizione abruzzese sarebbe stato scuoiato vivo a Scurcola Marsicana o ad Avezzano.

 

 

 

 (1) Di Pronio D., Pietro Celestino. Eremita in Santo Spirito a Maiella, s.n., s.d., p. 43
 (2) Di Giovanni A., Roccamorice. Storia e immagini, Sambuceto, Litografia Brandolini, 2016, p.47