La notte di San Giovanni e il "passar l’acqua"
- di Silvia Scorrano
San Giuanne battiste,
che battizziste Criste,
battizze cella nuvola triste
a chella grotta scura,
ddò n’ fere né sole né lune1
Una notte sacra e misteriosa quella di San Giovanni, scandita da misteriosi prodigi, riti di purificazione, legami di comparatico e sortilegi di streghe. Le erbe diventano magiche, le acque dei fiumi, del mare, della rugiada e persino di condotta si impreziosivano di poteri taumaturgici.
Anche la rugiada diventava portentosa, bastava strofinare le mani e le parti malate del corpo sulla vegetazione resa taumaturgica dalla guazza per tenere lontano i mali del capo e degli occhi (Teramo) o per curare le malattie della pelle, come la tigna (Fara Filiorum Petri) e la rogna (Campli). Gli effetti erano straordinari anche sui tessuti:
Nella notte, il fiume Sangro si trasformava in un’onda di sangue guaritrice; anche il mare si popolava:
Nella notte di s. Giovanni, molte giovanette, in carri, in carrozze, a piedi, vanno a Fossacesia. Colà, prima che spunti il sole, snodano i capelli e li lavano nell’acqua del mare, che li fa lunghi, folti e belli. Non poche di esse, a quell’ora, prendono anche un bagno.2
Un’analoga ritualità era praticata anche a Marina di Città Sant’Angelo.
A Fara Filiorum Petri gli anziani del posto ricordano:
Chi soffriva per una qualsiasi malattia della pelle (chi teneve nu sfoche) il 24 giugno, giorno di San Giovanni Battista, prima dell’alba si poteva recare al fiume o alla sorgente più vicina, e se voleva guarire doveva accendere un fuocherello con fogliame o altro e poi gettarlo nella corrente e quindi lavarsi con l’acqua pronunciando le seguenti parole:
San Giuvanne
je m’allave ‘nghe st’acqua currende
e tu aremmureme ‘stu foche ardenne.
(Elvira Di Fulvio). 3
A Civitella Roveto, il Liri assume funzioni purificatrici per l’anima e curative per i mali corporei: dalla mezzanotte fino all’alba ci si bagna e si fa scorta del prezioso liquido da utilizzare durante l’anno.
Al Vella e al Gizio, i devoti andavano a “passar l’acqua”, un rito analogo era praticato il Lunedì di Pasqua: attraversare un corso d’acqua significava iniziare un nuovo ciclo, un nuovo anno all’insegna del buon auspicio, mentre la Pasqua sanciva il passaggio.
A Capitignano, le famiglie guadavano i corsi d’acqua Mozzano, Riano, Morecone, Pago Vecchio e Riezzola.
A Cansano sono soprattutto i giovani che in gruppo si recavano in località Vallacquara dove, prima di pranzo, veniva superato un torrente che si forma al disciogliersi della neve.
A Rivisondoli, il rito di purificazione veniva praticato sul Piano di San Cristoforo in prossimità della chiesetta della Madonna della Portella un tempo dedicata a San Cristoforo.
Finamore, a cui il passar l’acqua non poteva sfuggire, riferisce che a Ortona a Mare e a Vasto la gita del Lunedì di Pasqua, era chiamata “Pascane”. Pasqua (ebr. Pesach) a significare il passaggio del Mar Rosso; un’interpretazione non condivisa da altri studiosi per i quali ricorderebbe il passaggio dell’angelo davanti le case degli Ebrei tinte con il sangue dell’agnello; Plinio Silverii riporta per Orsogna l’espressione lu sciacquétte utilizzata per indicare il rito del Lunedì di Pasqua.
Ma passar l’acqua ha anche un altro significato. A Introdacqua, si racconta che quando erano impiegate le carrozze per portare i defunti al cimitero il cocchiere, arrivati in prossimità dell’ingresso, doveva dire “passa l'acqua” per superare un canale d’acqua (ancora esistente); ma secondo alcune fonti i cavalli arrivati in quel punto si fermavano, trattenuti da una forza misteriosa, finché non veniva pronunciata la magica frase (Testimonianza raccolta da Colangelo Federico che ricorda quanto detto dalla nonna Rosa Faiello).
Foto: Ivano D'Ortenzio
Note
- Uno scongiuro contro il maltempo tratto dal volume di Giancristofaro E., Totemájje. Viaggio nella cultura popolare abruzzese, Lanciano, Rocco Carabba Editore, 1978, p. 68.
- Finamore G., Tradizioni popolari abruzzesi, op. cit., p. 159.
- Di Fulvio E., L’acqua: alma madre d’ogni vivente, in AA.VV., Il culto di San Rocco a Roccamontepiano, Bucchianico, Tinari, 1997, p. 10.