Acque sacre e taumaturgia

di Silvia Scorrano

 

Acque sacre e taumaturgia

 

Nel silenzio della scienza, punito con la malattia, l’uomo chiedeva aiuto alla natura, un’assortita farmacia voluta dal divino con molteplici sostanze pronte a divenire benefiche nel rispetto di ritualità e riti magici. Un ampio dispensario che produceva farmaci nel limitato spazio di vita della comunità e quale sostanza, se non l’acqua, poteva risultare tra le più diffuse!

Ma l’acqua, come tutte le medicine ha le sue modalità di assunzione. Per avere potere taumaturgico molte acque dovevano (o devono là dove la tradizione è ancora viva) essere prelevate in date prestabilite (tempo sacro), generalmente coincidente con il giorno di morte del santo (dies natalis), per essere utilizzate nel corso dell’anno (tempo profano) quando le difficoltà della vita richiedevano (e/o richiedono) l’intervento del soprannaturale. 

La febbre malarica, ad esempio, era possibile curarla grazie alle acque di san Cataldo prelevabili dalla omonima fonte presente a Palena. Per quanto riguarda la peste, a Roccamontepiano, si tentava di curarla con l’acqua di san Rocco, attinta da una sorgente localizzata in una grotta in cui avrebbe soggiornato il Santo ospite dei Principi Colonna di Roma. Debellata la pesta i fedeli non si sono dimenticati dell'acqua di San Rocco; ad essa ricorrono non solo per le patologie che ricordano la ferita sulla gamba con la quale il Santo viene rappresentato. Le malattie dell’orecchio avevano il proprio rimedio nelle acque della Fonte di sant’Ippolito a Corfinio; per le malattie del fegato, il Paoletti (1963) riferisce di una fonte detta della trizia, localizzata in prossimità di Torricella Peligna; per i reumatismi e le artriti è ancora in uso bagnarsi nelle acque dell’Aterno, in prossimità dell’Eremo di San Venanzio.

A Caramanico, le patologie epidermiche un tempo si curavano con l’acqua di un “rivo” la Zolfanaia, mentre ad Assergi si ricorre all’acqua di san Franco. 

Sul versante occidentale del Morrone, invece, le acque presenti nell’eremo rupestre di Sant’Onofrio – divenute sacre grazie a fra’ Pietro – erano utilizzate per curare un ampio spettro di mali e per liberare dal demonio gli ossessi. 

Le acque “generiche”, attive nei confronti di numerose malattie, hanno un'ampia diffusione sul territorio regionale; si ricordano quelle presenti nelle chiese (san Tommaso di Canterbury a Caramanico, san Michele nella contrada aquilana di San Vittorino e Beato Nunzio Sulprizio a Pescosansonesco), negli eremi (San Bartolomeo in Legio a Roccamorice e San Domenico a Villalago) e nei santuari mariani (Madonna delle Grazie a Monteodorisio, Madonna dello Splendore a Giulianova, Madonna della Candelecchia a Trasacco). 

Una nota particolare meritano le acque con potere galattogeno che la “necessità” diffuse su tutto il territorio regionale. Nel Teramano, è tradizione ricorrere alle acque di santa Scolastica; mentre nel Chietino e nel Pescarese si venerano le acque consacrate a sant’Agata di Catania e a sant'Eufemia di Calcedonia (detta anche santa Fumìja). Le ritualità in onore delle Sante generalmente comportano, oltre al compimento di abluzioni, l’offerta votiva dei frutti della terra – chicchi di grano e legumi – e pezzetti di pane. Acque con potere galattogeno sono attribuite anche ad alcune figure maschili come san Felice, san Francesco e l’Arcangelo Michele. A san Felice era dedicata una fontana chiamata "fonte lattiera" localizzata nella frazione san Martino del comune di Schiavi d’Abruzzo; mentre a Celano, in località Valle Verde, si venerava l’acqua di san Francesco «che scaturisce sotto il convento dei frati Minori» fondato dal Santo «il quale lo nominò della Madonna». L’acqua va bevuta dopo averci messo dei chicchi di grano o delle briciole di pane (Finamore,1894).

Nella notte di san Giovanni, infine, le acque dei fiumi (Sangro, Giovenco, Gizio, Orte e Liri), del mare, la rugiada e persino l'acqua di condotta (se lasciata esposta alla notte) si doterebbero di poteri taumaturgici.