E tutta la bellezza del paese è nelle vie che vi adducono, nella conca morbida che lo circonda, nel degradare delle case, nel mistero delle piccole strade nere e degli archetti di riparo e degli anditi bui.
E tutta la grazia, che ci trasporta lontano nel paese della leggenda e del sogno, è nel costume delle piccole donne dal viso bruno e dagli occhi dolci. Un costume che tutte indossano religiosamente, che dona al corpo una solennità matronale ed alla testa un portamento altero da regina. Quello dei giorni di lavoro è più severo, quasi ieratico; l’abito della festa è più giocondo.
E' tutto di lana filata tessuta e tinta in ogni casa, secondo il buon costume abruzzese che minaccia scomparire in troppi luoghi. La gonna, tutta di minutissime pieghe, arrotonda il corpo oltre misura; il corpetto, terminato intorno al collo da una bianca trina di tombolo, chiusa sul petto dalla doppia fila di bottoncini d'argento e completato dalle ampie maniche fisse, si armonizza con l'enorme gonna e col grembiule che la copre quasi tutta in giro; il cappellitto, una specie di turbante di stoffa più scura temperata da un po' di bianco che vi traspare a lato, posa trionfalmente sul capo e si raccorda - secondo la teoria istintiva del cappello perfetto - al viluppo dei capelli con trecce finte di lana multicolore commiste alle vere.
Nella scelta di questa lana o di questa seta in filo, del damasco vivacissimo per il grembiule e il cappellitto della festa, degli ori vistosi, e della buona foglia d'ornello che darà tinta immutabile al magnifico verde di tutto il costume, si racchiude buona parte dell'ambizione e del gusto della popolana scannese.
Povere donne! Quanto lavorano senza turbare la solennità di quel loro costume che sembra creato apposta per la passeggiata, per la preghiera, per il corteo nuziale, per il rito eterno dell'ozio giocondo! ... Salgono al bosco con le gonne azzaccarate (ovvero tenute su da un legame) e ne scendono con la testa o con le spalle cariche come bestie, fanno da portatrici d'acqua e da manovali, senza smettere per un'ora sola la veste ardita, senza perdere mai le movenze armoniose... Di dove saran mai venute con la tribù che giurò fede eterna al proprio costume? Forse d'Albania?
Quando, entrando in una chiesa, non trovate traccia di sedie, e vedete lo spettacolo di tutta una folla scura, in uniforme, accosciata sul pavimento al perfetta guisa orientale - voi non potete trattener dall'immaginare una piccola tribù randagia, venuta di lontano, tra ferro e fuoco, a chiudersi in questo nido romito che cela ancora (ad onta della luce elettrica, della doppia strada, dello sventramento, degli alberghi e della fognatura) tutto il mistero del vecchio Abruzzo...
Tratto da Agostinone Emidio, Altipiani d'Abruzzo, Bergamo 1912
Nato a Montesilvano il 13 maggio 1879 , maestro di scuola elementare, fu giornalista e deputato per il collegio di Teramo (1919) e dell'Aquila (1921).
Nel 1911, collaborò alla fondazione del periodico milanese "La cultura popolare", organo della Unione italiana dell'educazione popolare, di cui fu condirettore, e collaborò a "La difesa delle lavoratrici", uscito a Milano nel 1912, e a "La Critica sociale".
Si occupò dei problemi della scuola, dell'istruzione e dell'emancipazione delle classi lavoratrici.
Pubblicazioni:
Dalla terra d'Abruzzo. Otto lettere al giornale “Lombardia” di Milano, Milano, R.Sandron, 1905; riedito da Associazione culturale Amici del Libro Abruzzese, Montesilvano, 2000
(con la collaborazione di Enrico Giuriati), Storia della legislazione scolastica sub-elementare, elementare e normale, Treviso, Zoppelli, 1907
L'agonia di Messina. Cento illustrazioni da fotografie di Emidio Agostinoni, Giacomo Brogi e Mario Corsi, Roma, L'Italia industriale artistica, 1908
Il Fucino, Bergamo, Istituto italiano d'arti grafiche, 1908
Altipiani d'Abruzzo, Bergamo: Istituto italiano d'arti grafiche, 1912
Foto: Gloria Marlowe e Memories:officina dei ricordi e delle immagini
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